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sabato 20 agosto 2022

Recensioni: Halestorm - Back from the dead


La band rock-metal degli Halestorm tornano con il loro quinto  album, a seguire l'ultimo  intitolato Viciuos. Il titolo dell'album è Back from the Dead, che potremmo tradurre con "ritornando dalla morte", riferimento non troppo velato al lungo periodo pandemico, che ha causato la fine dell'attività Live per sostanzialmente tutti gli artisti, con gravi conseguenze non solo economiche, ma anche psicologiche.

Il gruppo vuole farci sapere che è ancora vivo e vegeto, e pronto a dare battaglia con le sue armi preferite, grinta, velocità e abilità musicali. L'album si apre, e non potrebbe essere diversamente, con la title track back from the dead. L'urlo liberatorio di Lizzy, che appare fin da questa traccia in grande forma, è seguito da un pezzo rock metal nel classico stile del gruppo, in cui parti più dure si alternano  a parti leggermente più melodiche, il testo, come il video, è ispirato al cinema e ai fumetti horror, dove letteralmente i morti tornano a vivere. Il secondo pezzo, wicked ways, ha la stessa struttura, e risulta ancora più tirato "Non chiamarmi angelo, sarò sempre una peccatrice, questo non mi fa cattiva, non sono cattiva, ma ho i mei modi disturbanti" è la dichiarazione di Lizzy. Strange Girl ha una struttura più lenta rispetto ai precedenti pezzi. Brightside è sostenuta da un classico riffettone di chitarra "continuo a guardare al lato illuminato della strada, perché anche quando diventa più scuro, abbiamo tutti bisogno di qualcosa in cui credere"

Il disco prosegue con The Steeple un pezzo che non si differenzia in modo particolare dagli altri. Con Terrible Things le atmosfere cambiano. il brano è infatti totalmente acustico, ed è una amara riflessione sulla natura umana e sulla difficoltà di cambiare, sicuramente uno dei brani più belli dell'album. My redemption non offre particolari spunti di interesse, risultando un brano nella media, Più interessante Bombshell, caratterizzato da un ritmo lento sostenuto dal basso, e da atmosfere solenni. I come First è un altro brano assolutamente potente, che può ricordare brani come Amen.  Psycho Crazy, è un brano, come i due precedenti, in cui il ritmo è meno veloce senza che questo vada a discapito della potenza, che anzi ne esce rafforzata. Raise your Horns conclude l'album, e non poteva che essere una ballata possente e coinvolgente, un poco nella tradizione di Here's to us, ma con la stessa nostalgia di brani come Break in. Sicuramente il pezzo più bello del disco, caratterizzato da una eccellente prestazione vocale di Lizzy Hale.

In sostanza un altro ottimo disco da parte della band americana, non il loro migliore, e forse un poco ripetitivo nella prima parte, ma sicuramente all'altezza della loro fama e un segnale che gli Halestorm sono ben vivi e sempre sul pezzo !

sabato 26 febbraio 2022

Avril Lavigne - Love Sux recensione


Love Sux (L'amore fa schifo) - Settimo disco di Avril Lavigne, che segna un ritorno al pop-punk delle origini: almeno questo è quello che scrivono i vari siti. In realtà, fin dal primo ascolto, si capisce che questo non è un ritorno, ma una vera e propria rinascita musicale di un'artista che ha cambiato spesso pelle, venendo spesso criticata dal suo stesso fandom per questo, e pur sfornando dischi sempre validi, con i loro difetti specifici ma sempre fondamentalmente onesti e sempre con quelle 5-6 canzoni per album che non possono non piacerti,  è stata messa un poco da parte dal mercato e dai media.

Il disco è stato preceduto da una attenta e intelligente campagna di marketing, peraltro necessaria visto quanto sopra ed il fatto che il disco esce per la etichetta di BArker Travis, già batterista dei Blink182, quindi non una major, e sicuramente questo ha permesso una maggiore libertà artistica che si riflette poi nel disco. Disco che, come si capisce dal titolo, esplora soprattutto le difficoltà di relazione, e racconta in modo ironico, ma anche alle volte arrabbiato, alcune esperienze della nativa di Toronto.

La prima traccia del disco si chiama Cannonball, e si apre con un urlo, che è una vera e propria dichiarazione di intenti "sono vicina ad esplodere, Motherfu**er!" Alle parole seguono i fatti con il pezzo più punk che Avril abbia mai scritto o cantato, A seguire Bois Lie con Machine Gun Kelly, pezzo che inizialmente pare un po' timido ma cresce con gli ascolti, ed è piuttosto simile ai brani del musicista americano, probabilmente sarà uno dei singoli del disco, e, va detto, è molto orecchiabile. Poi la già nota Bite Me, che è un bel brano con alternarsi di fasi più melodiche e altre aggressive. il quarto brano è Love it when you hate me, anche questo un duetto, questa volta con Blackbear, che inizia molto calmo per poi accendersi, con un miscuglio di HipHop e Rock già provato in passato, molto gradevole, non eccezionale, Love Sux è un altro brano veloce e orecchiabile che parla di amori andati a male a seguire Kiss me Like the world is ending, annunciato come una ballata ma che in realtà si apre anche questo con una partenza al fulmicotone e progredisce per arrestarsi solo nel finale. Avalanche cambia parecchio le atmosfere, si tratta infatti di un brano molto più tranquillo, uno dei pochi a poter essere definito una ballata, e ricorda le cose migliori di under my Skin. una vera perla a mio giudizio. Anche  Deja VU pur essendo più rock, ha atmosfere che in qualche modo ricordano UMS, con un potente riff di chitarra che si alterna a fasi più calme.

Con F.U, che sta a significare esattamente quello che avete pensato significhi, Avril ritorna a pigiare sull'acceleratore, lasciando ancora senza fiato l'ascoltatore, e trascinandolo con i suoi vocals fantastici e la sua energia prorompente. All  I wanted è un altro duetto con Mark Hoppus, bassista e cantante dei Blink182, ed è un perfetto esempio dello stile denominato Pop-Punk: veloce, leggero e divertente con coretti al momento giusto e tantissima energia. Dare to love me è un'altra rara quanto bellissima ballata, che inizia timidamente per poi svegliarsi lentamente e progressivamente, e rappresenta la richiesta da parte di Avril di poter essere e sentirsi  amata interamente. Uno dei miei pezzi preferiti dell'album.

Ed infine si chiude con Break of Heartache, anche questo un brano come anche il precedente interamente scritto da Avril, che si riallaccia in qualche modo al pezzo iniziale, e anche qui si parte dall'ormai rituale incitamento "Let Go Motherfu**Er" per lanciarsi in un brano interamente punk, che costringe l'ascoltatore a sbattere la testa dappertutto per seguire il ritmo indiavolato.

Ci sarebbero molte cose da dire ma credo per sintetizzare che è un disco assolutamente energico che non si può intendere come una semplice "Operazione nostalgia" ma come l'inizio di un nuovo percorso che Avril ha intrapreso, anche dal punto di vista delle sue relazioni e amicizie (nel disco collaborano oltre aTravis Barker e gli altri musicisti citati anche ModSun, musicista che è partito dal rap per approdare al Pop-punk, e con cui Avril ha una relazione sentimentale che ha avuto una sicura e positiva influenza anche sulla sua vita musicale) e che dovrebbe essere guardato da tutti gli ammiratori della cantautrice canadese con ottimismo e speranza. 

Se Head Above Water era il disco in cui Avril ci diceva che era tornata alla salute e alla serenità dopo la malattia di Lyme, con questo disco Avril ci dice che che ha ancora tanto da dire musicalmente, che è pronta a ripartire in nuovo percorso di vita e di carriera musicale con un entusiasmo ritrovato, entusiasmo che ritroviamo in ogni traccia del disco, e che speriamo duri più a lungo possibile,

voto 10/10


giovedì 14 ottobre 2021

Gli imperdibili: X- Under the Big Black Sun

 Gli X sono uno dei gruppi che ho amato di più, e sono sempre stato imbarazzato da due cose su di loro: 1) il loro nome, che già di per sè è abbastanza stambo ed anonimo, anche se facile da ricordare,  e non esssendo nemmeno fornito di articolo (the) davanti diventa spesso  difficile da comunicare o anche solo scrivere. 2) il fatto che siano uno dei gruppi più misconosciuti, almeno qui in Italia, pur avendo avuto un certo seguito ed apprezzamento negli Usa, e, a livello di nicchia e molto tempo fa, anche qui nella penisola. 

E arriviamo al disco che ci interessa; Under The big black sun, uscito nell'estate del 1982, è il terzo disco della band losangelina, che aveva già pubblicato due intensi lavori: l'esordio con Los Angeles, ed il seguito Wild Gift, due eccellenti lavori, in cui la forza e l'irruenza del Punk si sposavano con il rockabilly e soprattuto con un lirismo, grazie anche all'amalgamarsi di due voci, uno maschile e l'altra femminile, che lo hanno sempre reso un qualcosa di unico nell'ambiro del punk/new Wave (e non solo).

Pur essendo i già citati dischi, e anche i successivi, ottimi dischi, Under the big Black Sun rimaneil mio disco preferito della band californiana: infatti qui il discorso musicale si amplia ulteriormente, aprendosi a generi musicali impensabili, come il Country,e include aperture melodiche inedite, il tutto senza rinunciare né all'impatto della chitarra elettrica e della batteria, ma sopratutto  al lirismo delle voci e delle atmosfere, e direi alla poesia dei testi, creando un qualcosa non solo di gradevole, ma che spesso dà i brividi all'ascoltatore,

Il disco si apre con Hungry Wolf; un rock teso e lirico, che parla di lupi innamorati, che predano insieme e vivono insieme per l'intera vita. Motel Room in my Bed è una delle canzoni liriche del disco, un upbeat veloce, con la chitarra rockabilly del chitarrista Billy Zoom ad accompagnare in modo mirabile le voci di Axene e John. Riding with Mary è una canzone dedicata al ricordo della sorella di Exene, scomparsa qualceh mese prima, una canzone dalle atmosfere Dark, con una chitarra forte, che ricorda i primi lavori del gruppo. Come Back to me, ancora dedicata al ricordo della sorella, ci sorprende con le sue atmosfere dolci e nostalgiche, una ballata che tuttavia non cade nello sdolcinato. Poi è la volta della title track, uno dei pezzi più belli dell'album, anche questo un pezzo in cui i precisi arpeggi di Billy la fanno da padrone, e dove il lirismo raggiunge apici irraggiungibili. Il successivo Because I do, è un pezzo decisamente punk, dove la batteria  la fa da padrone, imponendo un ritmo travolgente al brano.

Dancing with tears in my eyes è un altro brano semplicemente stupendo, una ballata country, veramente sorpendente se consideriamo scritta ed eseguita da un gruppo punk, uno di quelli che "Non sa suonare" secondo i soloni e gli incompetenti che ancora animano il web. Il successivo Real child of Hell mantiene le promesse del titolo, è un pezzo tiratissimo, un punk'n'roll tipico degli X.

How I learned My lesson, è un pezzo veloce dove le voci di John ed Exene si alternano in modo molto gradevole. Il disco si chiude con The Have nots, che parla di emarginati che consumano le loro vuote esistenze in bar malfamati bevendo fino all'ultima goccia, ma non è un discorso moralista quello degli X, ma una degna celebrazione della working class, fatta con il loro stile, ed è ancora un brano riuscitissimo, che cresce mano mano che la canzone procede.

Che dire? un capolavoro, che riascoltato dopo anni non delude affatto ma ancora regala quelle sensazioni ed emozioni della prima volta.




sabato 9 gennaio 2021

Recensione: Plastic Heart di MIley Cyrus


 La piccola Miley, già star della Disney nella seconda metà della decade precedente, è cresciuta. Non sto intendendo sul piano fisico e della età, questo è del tutto ovvio, ma artisticamente. Lo si era visto già nei precedenti dischi,  in particolare Forever Young, ma questo è ancora più chiaro dall'ascolto attento dell'ultimo Plastic Heart, il cui unico difetto è che avrebbe potuto essere anche migliore.

In questo disco Miley rende più esplicito l'amore che ha da sempre dimostrato verso certo rock anni 70-80, e che si concretizza in un paio di duetti con nomi importanti di quell'epoca, ovvero Billy Idol e Joan Jett. Beninteso la musica di Plastic Heart di base è sempre pop, e sovente dance, ma è indubbio che siano ben presenti e riconoscibili elementi di rock sparsi qui e là come le spezie su un arrosto, non sono la base del piatto ma ne costituiscono un elemento capace di dare un certo gusto e retrogusto piacevole (magari con un vino adatto..)

Il disco si apre con WTF i Know, un pezzo  che utlizza un impianto musicale abbastanza classico nel repertorio di Miley, una base dance a cui si sovrappone un arrangiamento più rock nel ritornello. un discreto pezzo. Meglio il secondo pezzo, la title track Plastic Heart, più vicina ad uno stile pop-rock di impianto classico, molto gradevole ed anche trascinante, in cui si distingue un buon assolo di chitarra elettrica nel bridge. Il terzo pezzo Angels Like you, è invece una ballata che inizia in modo quasi timido, per poi crescere man mano e ricorda il materiale del precedente FOrever Young. Prisoner propone un duetto con l'emergente star della nuova dance Dua Lipa, ed è sicuramente il dbrano dal maggiore appeal commerciale, e bisogna dire che assolve senza problemi il suo ruolo, anzi direi che è meglio del prevedibile. Esiste anche una versione rock che è semplicemente travolgente ed è un peccato non sia stata offerta al pubblico (almeno in questa edizione del cd). Gimme what I want per quanto mi riguarda è di sicuro il brano meno riuscito ed interessante del disco. L'arrangiamento risulta piuttosto pesante, e la canzone abbastanza strasentita, diciano sullo stile di ciò che ha prodotto Lady Gaga negli ultimi 12 anni. 

Per fortuna subito dopo  giunge Night Crawling, ovvero il duetto con Billy Idol, ed è letteralmente un'altra musica. Batteria pesante, tastieroni e chitarre ruggenti, nulla da invidiare ai brani  fra il punk ed il pop che hanno reso famoso Bily nei promi anni 80. Il duetto fra i due è poi pura materia incandescente. Decisamente sì. Il cd da qui compie come un salto di qualità. Ed ecco Midnight Sky, dalle atmosfere suadenti ed avvolgenti, seguita da High, una ballata in stile country, come quelle degli ormai lontani esordi di Miley, uno stile che, a mio modesto avviso, le si addice totalmente. Anche la successiva Hate me è una ballata seppure con uno stile più moderna e, nondimeno è riuscitissima. A seguire l'altro duetto con Joan Jett che, però, rispetto a quello con Billy Idol mi pare meno riuscito, ritornello carino e orecchiabile, ma la parte della strofa la trovo decisamente rivedibile, Never Be me è un'altra ballata, forse un po' scontata, ma sicuramente gradevole ed orecchiabile. Chiude il tutto Golden G Strings, un'altro brano lento ma dalle caratteristiche diverse dai precedenti. 

In conclusione si tratta di un'ottimo album, guastata da un paio di canzoni non del tutto all'altezza, che certo non rappresenta un capolavoro assoluto della musica pop, ma che di sicuro assicura un gradevole ascolto riservando anche alcune sorprese. Rimane il dubbio, avendo ascoltato alcuni inediti, che il disco avrebbe potuto essere anche migliore.

Voto 8,5


giovedì 3 dicembre 2020

Recensioni: Smile di Katy Perry


 Quinto disco di Katy Perry  (ma sesto se consideriamo il disco uscito sotto il suo vero nome di Katy Hudson nel lontano 2002) Smile si pone in un modo alquanto enigmatico nella discografia della cantante  e autrice californiana. Partita dal pop-rock di One of the Boys per approdare a lidi decisamente più pop nei successivi Teenage Dream e Prism, per poi virare verso una versione più dance con il problematico Witness, ora Katy, da poco diventata madre, sforna un lavoro che, pur essendosoto il profilo strettamente musicale un proseguio di Witness, se ne differenzia sul piano dei contenuti, e lascia intendere un possibile sviluppo verso altre direzioni, anche perché è difficile pensare che una carriera così piena di sorprese e cambiamenti possa fermarsi in uno stile.

Il disco si può dividere in varie tematiche che vengono affrontate, che possiamo dividere in 4 categorie: Amore, Resilienza, Autoaffermazione e Gioia. Ecco, la cosa che più emerge dall'ascolto del disco è questa atmosfera non semplicemente e magari supeficialmente allegra, ma sintomo di una felicità raggiunta, una completezza data anche dalla maternità e dall'aver raggiunto un equilibrio come personale. Seppure personalmente ho sempre amato la prima versione di Katy Perry, e diciamo pure che seppure né Witness né questo disco mi soddisfino del tutto dal punto di vista della veste musicale, non si può negare che questo disco sia un disco "felice", che sprizza ottimismo e gioia di vivere, pur nelle difficoltà e nella complessità del mondo moderno, come nell'emblematica "It's not the end of the world" uno dei pezzi migliori   Daisy, Resilient, Champagne Problems, evidente omaggio alla dance fine anni 70. la ipnotica Harleys in Haway, la coinvolgente Cry about it later, e la ballata finale What makes a Woman si segnalano tra le canzoni più valide .  Il senso del disco, come anche della copertina, a mio modo di vedere molto azzeccata, si può trovare nella consapevolezza che, anche se la vita può darci motivi di tristezza e malinconia, bisogna sempre trovare la forza, la resilienza dentro di noi, per tornare a sorridere , senza piangerci addosso.

 In definitiva un disco tutt'altro che disprezzabile, e spiace l'insuccesso che ne ha caratterizzato il percorso commerciale, ma forse potrebbe anche essere un bene, che potrebbe spingere Katy a regalarci quel disco acustico promesso anni fa, e che stiamo ancora aspettando.

voto 8

venerdì 27 novembre 2020

Recensioni: Album no 8 di Katie Melua

 Katie Melua è una delle cantanti più brave e sottovalutate degli ultimi 20-30 anni. Dal 2004 ad oggi ha sfornato la bellezza di 7 album, sempre muovendosi con grazia ed infinito stile fra vellutate atmosfere jazz sprazzi di blues, escursioni nel folk (particolarmente nel cd In Winter) e rari esperimenti pop o rock, senza mai praticamente deludere, persino i suoi dischi più deboli (per quanto mi riguarda House. Questo album, semplicemente titolato Album no 8,  è un ulteriore passo in avanti. Ormai emancipatasi dalle ali del pigmalione Mike Batt, Katie sembra essersi indirizzato verso un suono acustico, magari supportato da un accompagnamento orchestrale raffinato e mai banale, lasciando da parte atmosfere jazz e blues. A mio modo di vedere questa è una mossa vincente, non ho mai trovato la sua voce, peraltro tecnicamente perfetta, particolarmente adatta a quello stile, mentre nelle ballate acustiche o melodiche, la sua voce dolce e suadente è la vera ciliegina sulla appetitosa torta musicale. Torta musicale composta da 10 canzoni quasi tutte di notevole bellezza, tra cui si segnalano English Manner, Airtime, Joy, you longing is gome, e che tocca il vertice nella meravigliosa Headin Home,  canzone sulla necessità del tornare a casa e ritrovare i propri affetti. Un disco suadente il cui ascolto è ideale per riprendervi dopo una dura giornata lasciandovi cullare dalle note e dalla voce di Katy. Magari manca qualcosa per farne un capolavoro, ma in fondo non è poi così importante.

Voto : 9

domenica 24 novembre 2019

Gabriella Cilmi- The Water Ep- recensione

Gabriella Cilmi è un'artista di cui abbiamo parlato di frequente, fin dall'esordio nell'ormai lontano 2008, con quello straordinario lavoro che è Lessons to be Learned. Non stiamo quindi a ricordare le sue vicissitudini. Ariviamo quindi al sodo: The Water è il nuovo lavoro della cantautrice italo-australiana, un Ep composto da sole 6 canzoni, che però, nonostante questo, si propone come uno dei dischi più interessanti di questo 2019. Le atmosfere sono decisamente blues, più ancora che soul, ed è decisamente un passo indietro e due avanti rispetto agli ultimi suoi lavori. Uno indietro, perché ritorna alle origini, due passi avanti perché più che ritornare alle sue origini musicali torna alle origini della musica blues e anche rock contemporanea: Bastano i 2 pezzi iniziali, Safe from Harm e Forgiveness, per far capire gli intendimenti di questo lavoro, ovvero blues blues e ancora blues. Poi arriva Ruins, che riporta un poco alle atmosfere pop rock di Lessons, con un suono che sarebbe quasi radiofonico, se le radio non fossero diventate le schifezze che sono diventate. La successiva The Water irrompe con una armonica a bocca ed un ritmo vivace,  disegnando un'atmosfera molto piacevole e rilassata. Keep on Keepin è un'altro brano che odora di wishky, sigarette e aria viziata di un qualche bar del Tennessee, splendidamente interpretato.
Ed infine Get yourself  Together, che è un piacevole incrocio fra blues e pop/rock, con la voce quasi sussurrata di Gabriella che sale nel ritornello in modo piacevole e trascinante.
In definitiva ci troviamo di fronte ad un eccellente lavoro sul piano della quaità, ma soprattutto un lavoro sincero, che rispecchia totalmente la passione e la visione artistica dell'artista, cosa estremamente rara di questi tempi- E difatti non pare che nessuno abbia troppa voglia di parlare di Gabriella Cilmi e di questo splendido lavoro.
Invece noi sì.
voto 9/10 (ma giusto per la scarsa durata, insomma... dai ! ...4 pezzi in più, non si potevano fare?)

venerdì 15 novembre 2019

Dischi: recensione di Jade Bird


Jade Bird è una giovane cantautrice inglese di cui abbiamo già parlato. IL suo disco d'esordio porta il suo nome, il che crea qualche problema er chi voglia recensirlo senza cadere in giochi di parole... Scherzi a parte, il disco è una piacevolissima per quanto tutt'altro che inaspettata sorpresa (quindi non è una sorpresa). Se volete farvi un'idea di che tipo di musica, o se preferiamo che tipo di approccio musicale, segua Jade potete pensare a cantautrici (lo so, non dovrei chiamarle così ma è quello che sono ) come Alanis Morrissette, Avril Lavigne o Sheryl Crow, e probabilmente qualche altra che mi sfugge. Tuttavia la giovanissima inglesina non assomiglia realmente a nessuna di queste (e a nessun'altra), Diciamo che ci sono dei punti in comune, la rabbia della prima Alanis, l'energia frizzante di Avril, ed una notevole completezza musicale (Jade suona chitarra e piano) che fanno ricordare Sheryl, seppure la musica di JAde sia decisamente meno "americana" di quella della Crow.
Il disco alterna pezzi più rabbiosi, di quelli da cantare a squarciagola, pezzi che magari iniziano in modo soffuso per poi esplodere in ritornelli incazzati quanto trascinanti (I get no joy e Love has all been done before sono due esempi di questo approccio) altre canzoni sono un poco (solo un poco) meno arrabbiate, e mixano dolcezza ed energia (in particolare Side Effects, a mio modo uno dei migliori pezzi, Infine altri pezzi sono decisamente più malinconici e calmi. In questa categoria rientrano quelle che io considero le perle del disco, ovvero 17 ( un brano di una bellezza quasi stordente) ed If I Die, ma anche, appena un pizzico sotto, la struggente My motto. L'impressione che si ha ad un primo ascolto è che Jade Bird sia soprattutto una cantante da urlo liberatorio, da schitarrata in sostanza che las sua cifra stilistica rientri nelle canzoni della prima categoria. In realtà ad ascoltarla con più attenzione, ci si rende conto che le cose migliori sono invece rappresentate dalle ballate tristi e malinconiche, siano di pianoforte o accompagnate da una chitarra acustica appena accennata. Per farla breve, siamo di fronte ad  un disco di  esordio di quelli importanti, pressapoco il migliore degli ultimi dieci anni, e sicuramente uno dei migliori dell'anno.
Di più. L'impressione è che siamo al punto iniziale di quella che potrebbe essere una carriera molto molto importante. Ovviamente il condizionale è d'obbligo di questi tempi in  cui il mercato discografico è, sotto molti aspetti, caotico ed inspiegabile, e la critica sembra aver rinunciato del tutto alla sua funzione (se mai l'ha avuta) di segnalazione dei lavori che vale la pena ascoltare.
Chi vivrà...ascolterà...
voto 10/10

venerdì 25 ottobre 2019

The Struts: Young and Dangerous

Young and Dangerous è il secondo disco della band neo-glam The Struts. Devoti della musica glam rock e rock dei primi anni 70 gli inglesi The Struts denunciano le loro ascendenze musicali fin dai video e dal look esageratamente demodé. Questo secondo lavoro inizia con i fuochi d'artificio. I primi tre brani dell'album, difatti sono una vera scarica di energia e di adrenalina, fatta di tutto quel che fa(ceva) di un brano rock un brano rock ovvero energia, divertimento, riff assassini, voce potente e assoli messi al punto giusto, in aggiunta ad una forte sezione ritmica: Body Talks, In love with a Camera e, soprattutto,  Primadonna like Me accontentano tutte queste condizioni, ed aggiungiamoci anche i testi. che sprizzano narcisismo e vanità da tutte le parti. Forse il gruppo ha giocato tutte le sue migliori carte in questo inizio, per cui il resto del disco non pare sempre essere all'altezza, i pezzi sono tutti gradevoli, ma pochi si segnalano  particolarmente fra questi : Who I am? è un brano con chiari riferimenti al Funky e si stacca un poco dal resto: Fire è un brano piuttosto movimentato, con una classica struttura, ed un ritornello di quelli che ti fanno cantare, Somebody New è un brano dalle atmosfere più solenni ed un tocco di liricismo in più.  Non c'è molto da segnalare fino all'ultimo brano Ashes part 2 , dove, se l'omaggio alla maggiore fonte di ispirazione dei quattro, ovvero i Queen, è evidente, non si può negare dall'altro lato nemmeno l'efficacia e la bellezza del brano.
C'è ancora spazio per una piccola sorpresa ovvero Body Talks con la presenza della pop star Kesha, che si è diretta verso lidi musicali più rock dopo gli inizi decisamente leggerini. Questo duetto peraltro rende ancora più chiaro quella impressione che si ha durante tutto l'ascolto dell'album, ovver che i The Struts, pur rifacendosi a modelli rock, siano decisamente più pop di quanto loro stessi non vogliano confessare. Che poi è esattamente la stessa cosa che succedeva per i Queen a loro tempo, e che spiega il perdurare del loro successo a così tanti anni di distanza ed in un periodo in cui il rock vero, diciamo la verità, non va un granché di moda.
Tornando a Young and Dangerous è n definitiva un buon album, ma di certo non una pietra miliare. Tuttavia sarà interessante seguirli nella loro unica data italiana il 29 ottobre al Fabrique di Milano, per tastare il loro valore come gruppo Live.
8/10

sabato 23 febbraio 2019

Recensioni: Avril Lavigne Head Above Water


Dopo un lungo periodo di assenza discografica sulle cui ragioni non mi dilungo poiché sono abbondantemente conosciute, Avril ha pubblicato il suo sesto lavoro, forse il lavoro più ambizioso della sua carriera, un lavoro profondamente diverso da quanto la cantautrice canadese aveva proposto fino ad ora, ed in cui il processo di maturazione iniziato da Goodbye lullaby, e parzialmente interrotto dall’incerto Self titled (che era un mix di vecchio e nuovo senza una precisa direzione) raggiunge il suo apice.
Analizziamo il cd quindi track by track

HEAD ABOVE WATER
Il Cd inizia con la title track. Un pezzo già uscito come singolo e caratterizzato da una musica solenne Al piano si uniscono gli altri strumenti dalla chitarra alla batteria ai violini.
Il testo racconta il dramma della malattia che la cantautrice di Toronto ha dovuto affrontare e la sua lotta per uscirne,
“La Mia vita  è la cosa per cui sto lottando” proclama drammaticamente Avril in riferimento alla malattia che l’ha colpitail testo diventa una invocazione nel ritornello, quanto mai struggente,
- Dio tieni la mia testa fuori dall’acqua, perdo il mio fiato quando sono sotto
vieni a salvarmi
Aspetterò sono troppo giovane per addormentarmi.-
Non lasciare che affoghi”

la parte finale diventa più rock, ma tutto il pezzo ha una forza difficilmente risContrabile nella musica attuale. 
BIRDIE
la canzone inizia con delle note di piano, appena accennate. Anche questo è un pezzo drammatico in cui Avril si paragona ad un uccellino rinchiuso in una gabbia, metafora di una relazione chiusa e frustrante, ma forse riferita anche ai suoi problemi di salute
La voce di Avril raggiunge momenti altissime di coinvolgimento, e l’accompagnamento musicale, caratterizzato da una forte batteria, aggiunge ulteriore forza. Un brano molto bello anche questo che cresce con gli ascolti 
I FELL IN LOVE WITH THE DEVIL
Dopo un inizio così forte si potrebbe pensare a qualcosa di più leggero, ed invece no, perché la terza traccia è uno dei pezzi più complessi musicalmente che sia stata partorito dalla mente di Avril. il brano viene introdotto da un solenne strumentale di violini prima dell’inizio del brano vero e proprio . Ancora un volta la voce di Avril la fa da padrona, su un accompagnamento musicale, tanto (apparentemente) scarno quanto efficace
Mi sono innamorata del diavolo e ora son  nei guai, mi sono innamorata del diavolo sono sotto il suo incantesimo” ovviamente non si riferisce al diavolo ma anche in questo caso ad una relazione sentimentale non felice
Il pezzo procede sempre più drammatico, anche qui un pezzo che fa sentire i brividi lungo la schiena, un arrangiamento incredibile, che crea atmosfera al tempo cupe e sognanti 
TELL ME IT’S OVER
 Finalmente un attimo di tregua sul piano emotivo, ma anche con questo brano Avril ci sorprende con un pezzo soul anni 50 che sembra uscito dalla discografia di Ella Fitzgerald. un brano estratto com secondo singolo e passato ingiustamente inosservato, poiché se certo non c’è l’innovazione dei brani precedenti, non si può no riconoscere la grande gradevolezza del brano in questione. Ed anche Qui voce e arrangiamento sono a livelli altissimi 
DUMB BLONDE
Questo è l’unico brano che si può definire, più o meno, un brano alla Avril Lavigne.
In realtà anche qui ci sono molte novità rispetto a brani come Girlfriend o la “famigerata” Hello Kitty, Il brano inizia con una rappata su una specie di marcetta militare, la strofa ricorda un po’ Walk like an egiptian delle Bangles, per poi diventare vagamente rock, e poi riesplodere in un potente ritornello a metà fra il rap ed il rock. Il testo prende in giro gli stereotipi maschilisti sulle bionde sceme di cui Avril è stata vittima e si riferisce in particolare a qualche fidanzato o forse discografico che l’ha sottovalutata. Qualcuno ha detto che la canzone usa gli stereotipi che contesta, ma è proprio questa la sua forza! mai sentito parlare di “effetto spiazzamento” Ironia etc etc? Il pezzo è divertente ma certo non è a livello del resto dell’album diciamo che è una allegra scampagnata dopo una settimana di dura lotta. Ci sta bene insomma 
IT WAS IN ME
  Questa canzone è indubbiamente uno dei vertici espressivi dell’album, un pezzo che si ricollega alla famosa I’m With you del primo album Let go, e ne è quasi un completamento. Se all’epoca Avril era una giovanissima ragazza che cercava  qualcuno che la sostenesse e  non la facesse sentire sola e sperduta ora Avril è una donna adulta che ha trovato dentro di sé la forza per resistere
“Ora lascia che mi senta ubriaca anche se sono sobria. lascia che mi senta giovane anche se sono più vecchia, lascia che mi senta orgogliosa anche se è finita, Alla fine ho capito che per tutto questo tempo era dentro di me, del tutto dentro di me” Anche la musica ricorda vagamente i tempi del primo album, ma con arrangiamenti ancora una volta maestosi. E ancora una volta la voce di Avril è semplicemente meravigliosa
SOUVENIR
Anche questo è un pezzo che ricorda un poco la Avril degli esordi, ma forse ha più somiglianze con un’altra eccellenza musicale canadese, ovvero Alanis Morrissette, da sempre riferimento per Avril. Potrebbe anche ricordare alcuni pezzi del precedente Self TItled, ma è molto più convincente di questi
 CRUSH
E di nuovo con questo pezzo abbiamo una Avril  in versione Soul con risultati addirittura superiori alla pur ottima Tell me it’s over. pezzo perfetto nulla da aggiungere
GODDESS
La chitarra  acustica è la protagonista di questa canzone, dai toni lievi, dove, dopo tanti acuti, Avril torna su tonalità più basse, per poi risvegliarsi nel ritornello. Un brano carino e rilassante dopo tante emozioni ci sta.
BIGGER WOW
Anche questa è una canzone rilassante, probabilmente il brano più pop del disco, orecchiabile, facile ma di certo non semplicistica, poiché voce e arrangiamento sono ancora  a livelli di eccellenza, il testo è dedicato ad una relazione questa volta felice.
LOVE ME INSANE
Questo brano è di nuovo ispirato ad atmosfere tra il soul ed il jazz, caratterizzato da un contrabbasso (cosa insolita per l’attuale mondo pop ) a cui si aggiunge l’orchestrazione. Il groove della canzone cresce man mano creando ancora una volta delle atmosfere magiche. Ancora una volta Avril fa centro anche con questo pezzo.
WARRIOR
Qui, dopo qualche brano più rilassato, le atmosfere tornano a farsi drammatiche.
Warrior è, difatti, un’altra canzone di forza, di sentimento, dove la voglia di riscatto dalle sofferenze della malattia, ma in generale dalle difficoltà della vita costruiscono un pezzo epico, dalla grande forza emotiva.
“ come un vichingo combatterò attraverso il giorno e la notte- marcerò nell’oscurità fino a che arriverà la luce del giorno”
“perché sono una guerriera, combatto per la mia vita, come un soldato per tutta la notte, e non cederò, sopravviverò”.

Una ballata possente, ben sostenuta dalla batteria, che conclude in modo degno un grande disco, che ci fa ritrovare una delle voci più importanti del pop degli ultimi venti anni. E anche se la parola è inflazionata, si può in questo caso usarla senza troppi problemi per definire questo album.
Capolavoro.
10/10

lunedì 8 ottobre 2018

Halestorm: Vicious-recensione

Vicious è il quarto disco del gruppo rock/metal americano degli Halestorm- La band, capitanata dalla sensuale Lizzy Hale, dimostra ancora una volta di saper padroneggiare la materia rock come pochi gruppi attuali (forse i soli Foo Fighters) sanno fare.
Il disco si apre con Black Vultures, dalle reminiscenze Grunge, che forse è proprio il pezzo che richiama maggiormente la musica dei Foo. Il brano appare convincente come apripista di un disco dalle cadenze più rock rispetto al precedente, ma che si differenzia anche da "The Strange Case" nella ricerca di sonorità rock ma con ritmi più pacati rispettto al secondo disco. In questo senso, a mio avviso il disco richiama in certi momenti l'esordio del gruppo, seppure qui le canzoni abbiano un taglio più rock, più dure, mentre nel primo disco si trattava soprattutto di ballate. Skulls, il secondo brano sintetizza un poco quanto appena detto, un mix di momenti "da ballad" e momenti più duri, più hard. "Uncomfortable" è un brano decisamente più veloce che soddisfa completamente, mentra Buzz, si apre con sonorità leggermente più calme, ma che esplodono in un potente Hook, che anche qui ricorda un po' le aperture melodiche/hard del primo disco. A seguire arriva Do not disturb, un brano dal testo e dalle atmosfere sensuali in cui Lizzy racconta un triangolo amoroso consumato in un hotel. Testo piccante che ben si coniuga con una musica che ne sottolinea l'ambiguità e la sensualità, sicuramente uno dei brani migliori del disco.
Conflicted è un brano altrettanto sensuale, ma che lavora più di sottrazione, con un riff costruito soprattutto sul basso mentre la chitarra è tenuta (almeno inizialmente) in disparte, per poi prendere il sopravvento lentamente. Killing Ourselved to death è, come si capisce fin dal titolo, un rockettone di quelli che lasciano il segno, un vero e proprio anthem per tutti i fan della band (e non solo) che si può facilmente prevedere diventerà un cavallo di battaglia dei live show della band.
Anche qui però la band dimostra di essere cresciuta tantissimo, permettendosi un bridge quasi totalmente differente dal resto del brano per poi ributtarsi, grazie alla chitarra di Joseph Hottinger (ottimo chitarrista ) nel caos gaudente del brano.
Heart of Novocaine  è una ballata che arriva nel momento giusto per placare gli animi, ma di certo non le emozioni, che continuano grazie alla interpretazione sentita ed emozionale di Lizzy.
Painkiller e White Dress sono altri brani che proseguono il discorso del disco, con il secondo che si fa preferire. Vicious è il brano che dà il titolo al Cd, e devo dire che è forse l'unica delusione del disco, nel senso che non si distingue particolarmente dagli altri brani, Viceversa The Silence è una bellissima ballata acustica, che fa un poco rimpiangere che ce ne siano così poche nel disco.
In conclusione un altro ottimo disco della band americana, che come al solito non delude.
E adesso tutti ad attendere il concerto del 22 ottobre a Milano...



sabato 17 febbraio 2018

Recensioni: Underworld dei Tonight ALive


Underworld è il quarto disco dei Tonight Alive , I precedenti dischi erano il promettente What are you so scared of seguito dall'eccellente The Other Side e dal più problematico Limitless, accusato da una parte dei fan di essere troppo "pop". Il cambio di etichetta, dalla megamultinazionale Sony alla più piccola Hopeless Record (non un nome molto ottimista, ma vabbè...) sembra aver dato nuova linfa alla creatività del gruppo australiano, che comunque non avevano realizzato un disco così scadente come da molti asserito con una certa dose di superficialità. Di certo la musica è più grintosa nel suo insieme, anche se siamo molto lontani dal primo disco. Il sound è sì aggressivo, ma anche molto rifinito e anche "pop". Il disco nel suo insieme, più che un passo indietro rispetto al precedente, lo si può considerare viceversa un approfondimento, che segue quindi la linea degli ultimi due ma senza cadere in certe sonorità da pop band. I Tonight Alive insomma non tornano indietro, o almeno lo hanno fatto giusto per prendere la rincorsa. Dopo tutto sto papocchio di roba mi chiederete: ma insomma il disco è buono o no? Risposta negativa: il disco non è buono: è ottimo! per non dire eccellente, ma con le eccellenze mi hanno fracassato i cabasisi e allora limitiamoci a dire che è veramente buono buono.
Il disco si apre con Book of Love, con sonorità alla PVRIS. A segure Temple, un pezzo più hard rock, con un bel riff, anche se il chorus non mi convince molto. Disappear si avvicina ancora in parte al suono dei già citati PVRIS, tanto è vero che vede il featuring di Lynn Gunn,  cantante dei sopracitati.  l pezzo è comunque splendido, ben strutturato, con un mix di atmosfere in parte melodiche e in parte rock, che sono poi un marchio di fabbrica dei TA. Altrettanto bello è The Other, con un Hook veramente irresistibile. In My dreams si caratterizza per sonorità più lente e solenni, molto fascinose. For You è una ballata quasi pop che si avvicina al precedente disco. Crack My heart fa risalire la tensione con le sue atmosfere drammatiche che esplodono nel ritornello e nel bridge con effetti catartici. Just for Now riesce ad unire atmosfere pop con l'urgenza del punk. Burning on ha un inizio quasi alla U2 dei bei tempi, ed ancora una volta il canto di Jenna McDougall si eleva rendendo il tutto qualcosa di magico. Ma non è finita, perché anche gli ultmi 4 pezzi non deludono affatto, anzi sono ancora più belli. Waiting for the end incanta con le sue atmosfere nostalgiche e vellutate che crescono man mano raggiungendo vette di lirismo inusitato. Last Light è una canzone d'amore che ci dà un attimo di tregua sul piano del ritmo, ma non su quello della bellezza, e ricorda un po' i  fantastici Cranberries, se non altro per il senso melodico. Looking for Heaven è una ballata di pianoforte, semplicemente stupenda. Ed infine My Underworld, ballata con duetto con Corey Taylor, con il quale si conclude questo viaggio fra emozioni e sentimenti, alle volte tristi e complessi, ma sempre positivi.
In conclusione un capolavoro, senza se e senza ma. Speriamo che nessuno ci porti via i Tonght Alive, perché questi ragazzi sono dei grandi.

giovedì 28 dicembre 2017

recensioni 2017

Vi sono un poì di dischi che ho ascoltato in questo 2017, e non avendo tempo per dedicare grande spazio per ciascuno di loro concentrerò in questo post

Paul Weller: a Kind Revolution: Dopo il mezzo passo falso di Saturn Il buon vecchio Paul torna ad una formula musicale più consona al suo stile ed al suo talento: il risultato è indubbiamente buono, ma non forse buono quanto avrebbe potuto essere. Alcuni brani sono magnifici, altri risentono  un po' troppo dello sperimentalismo forzato a cui sono sottoposti. per cui la canzone inizia con uno stile ma poi ne viene introdotto in modo forzato un altro. Tutto ciò va a scapito della semplicità della musica, che secondo chi scrive, è il vero segreto (di Pulcinella, ma sempre segreto) per arrivare al cuore di chi ascolta. Non è male come cd alla fine, e rimane di una spanna o forse due sopra alla media dei lavori attuali, ma da Paul Weller io mi aspetto sempre qualcosa di più : voto 7,5


Sheryl Crow: Be Myself : Essere se stessi: questo l'intendimento, non certo nuovo, dell'ultimo Cd di Sheryl Crow, una delle più brave (probabilmente la più brava) cantautrice degli ultimi 20/25 anni. Per far questo la brava e tenace Sheryl recupera il suono d'antan, quello dei primi dischi, in particolare di The Globe Session, che rimane il suo disco più ardito e più riuscito. Qualcuna magari potrà arricciare il naso, parlando di mancanza di fantasia o nostalgia. Io credo sia un disco molto onesto,magari non così bello come la font edi ispirazione, me nemmeno poi così lontano da questo. E riuscire ad essere ancora così fedeli a se stessi a 50 anni di età suonati, non mi pare poca cosa, propio per niente. Forse sono un po' generoso, ma credo che un 9 ci stia tutto, quantomeno per il coraggio e la coerenza


John Mayer: The search for everything : John Mayer propone con questo suo cd una musica molto soft, improntata sempre al blues e ad al country (forse più verso quest'ultimo) ma anche con aperture verso il soul (come nella straordinaria Helpless) generi  musicali che Mayer rivede attraverso la sua particolare sensibilità artistica. Mayer è uno dei personaggi più sottovalutati dell'attuale scena statunitense e mondiale, a vantaggio di personaggi il cui talento è discutibile, ma sappiamo come funziona presso i cosidetti critici... Io nel mio piccolo non posso che consigliare caldamente questo cd, uno dei migliori della stagione voto 9



Dua Lipa : Dua Lipa: La giovanissima cantante di origini kossovare è indubbiamente le rivelazione pop dell'anno. Dotata di una voce calda e potente, su cui comunque deve lavorare ancora molto per portarla a livelli di eccellenza assoluta, con questo primo disco riesce non solo ad intrattenere l'ascoltatore, ma ad accalappiarlo in modo inaspettato. Il disco in sé per sé non è che sia gran cosa, suoni elettro-pop, qualche ballata, qualche brano più dance,  ma il tutto suona in modo dannatamente gradevole e seducente. Le nuove regole di Dua rischiano di essere quelle che domineranno il pop del prossimo decennio. E a me va pure bene così. voto 8,5


Queens of the stone age: Villains : il precedente disco era qualcosa di magico, di maestoso, pieno di sonorità che potrei definire solenni. Purtroppo questo seguito delude. Il quintetto non riesce a staccarsi dai propri cliché riproponendo sonorità già usate ed abusate ed i tentativi di rinnovamento non convincono appieno. Tuttavia qui e là qualche graffio rimane inciso sulla giacca di pelle. Diciamo 7








Foo fighters: Concrete and gold: Viceversa i Foo Fighters, nonostante i 20 anni e più passati sui palcoscenici, non sembrano invecchiare mai. Evidentemente Dave Grohl e compagni hanno ancora tanto da dire. Basti sentire la prima canzone del disco, TShirt, che inizia timidamente, con note acustiche appena sussurrate per esplodere in un momento che ricorda i gloriosi Pink Floyd (a me, almeno) per capire quanto quest gruppo padroneggi la materia rock sulla quale scolpisce le sue opere.
Già perché di vere e propria opera d'arte possiamo parlare, senza se e senza ma, e seppure il disco si perda inizialmente un poco dietro a qualche Ledzeppelinismo di maniera (se mi passate il neologismo) da Dirty Water in poi siamo veramente al meglio della loro produzione voto :8,5




martedì 19 dicembre 2017

Miley Cyrus- Younger Now

Mi sono sempre chiesto cosa volesse fare da grande Miley Cyrus. Figlia di un musicista country lanciata da giovanissima come star della Disney nel personaggio di Hanna Montana, ha sempre alternato cose carine ed anche interessanti a cadute di tono e gusto impressionanti.  Per ciò è stata a lungo classificata come una delle tante star adolescenziali destinate ad una breve carriera e ad un ancor più breve successo. Eppure il talento lo si intravedeva, ed anche in modo piuttosto evidente. Eppuere la giovanissima Hanna Montana è diventata una giovane adulta, con errori e contraddizioni, e non è sparita nel nulla come molti avevano preventivato e forse sperato. Il problema vero di Miley non è mai stato il talento o la vocazione, ma trovare la sua via. Ed invece è sempre stata indecisa se essere la nuova Britney Spears o la nuova Avril Lavigne, la nuova Rihanna o la nuova Taylor Swift.
Con questo disco Miley fa finalmente la sua scelta e sceglie di essere semplicemente Miley Cyrus: si riappropria delle proprie origini, che non possono altro che essere quelle di famiglia, quelle della country music, debitamente corretta ed interpretata, ma senza stravolgerla o contaminarla di eccessivi elementi del pop commerciale (come invece fatto da molte sue colleghe, la Swift in primis) Il risultato è un disco ottimo, a tratti eccellente, gradevole dalla prima all'ultima canzone. Younger Now è il manifesto programmatico del disco,  mentre Malibu è il suo completamento. Miley passa indenne attraverso un pericoloso duetto con l'icona del country americano Dolly Parton in Rainbowland, per poi gettarsi in atmosfere anni 50 con Week Without you. Miss you so much è una ballata dolce e coinvolgente. la parte migliore del disco è tuttavia la seconda, con brani bellissimi come I would die for you, Thinkin, Bad Moon e Love Someone, sempre con atmosfere fra il country ed il rock vintage.
Il disco si conclude con Inspired, una sorta di appello al perseguire la propria felicità e quella collettiva. Non nascondo che considero questo disco una delle più gradite sorprese dell'anno musicale ormai trascorso ed uno dei migliori dello stesso
90/100

lunedì 11 dicembre 2017

Katy Perry - Witness


Quando ho sentito per la prima volta Witness, l'ultimo disco di Katy Perry, mi sono detto "mi spiace Katy, ma questa volta non te lo compro" . Mi era parso un disco molto ben prodotto, ma troppo lontano dai miei concetti musicali e dagli esordi della cantautrice californiana. Poi, l'ascolto di alcuni brani eseguiti live ed in acustico, ed un secondo ascolto meno superficiale, mi hanno convinto a dargli una chance. D'altro canto il primo ascolto era avvenuto alle 6 del mattino sulle preview di iTunes, insomma non un ascolto molto affidabile. Dopo ripetuti ascolti devo ammettere che mi ero sbagliato, e di grosso. Il disco è certamente molto lontano da One of the boys o dall'Mtv Unplugged, ma anche da Prism e persino da Teenage Dream, ma non per questo è disprezzabile. D'altro canto anche l'ultimo dei Paramore ha poco a che vedere con gli esordi della band statunitense, ma è un signor disco.  Per toranre a Witness, è un disco assolutamente interessante, e che mostra un'artista alla continua ricerca di nuovi stimoli e nuove sonorità, da questo punto di vista risulta il disco più sperimentale della cantante californiana. Come già detto il lavoro di produzione è enorme, ogni canzone è studiata nei minimi particolari, ed il risultato è sicuramente un disco di altissimo livello. Il sound è indirizzato verso la dance/pop, ma mantiene uno standard elevato di qualità esplorando varie sonorità e ritmi. Anche i testi sono da leggere con attenzione. Per venire alle canzoni il disco si apre bene con Witness, e mantiene un profilo alto per quasi tutta la sua durata. Le mie preferite sono Witness, Roulette, il singolo Chained to the rhythm, una delle poche canzoni con un duetto che abbia un senso, Bon Appetit ma soprattutto le (poche ballate) Miss you More, Into me you see e la bellissima Save as Draft. Va segnalata anche Mind Maze, una canzone che come il disco è facile sottovalutare ma risulta poi molto interessante. Tutto perfetto quindi? direi di no, 15 canzoni sono tante ed è difficile mantenere sempre lo stesso livello, e qualche caduta di tono è inevitabile. A mio modo di vedere la caduta di tono più evidente è proprio Swish Swish, canzone scelta come terzo singolo, e che è stata propagandata come una "diss song" nei confonti di Taylor Swift. Ora, le polemiche in musica ci sono sempre state, basti pensare alla celeberrima "l'avvelenata" di Francesco Guccini, dedicata quasi per intero ad un critico che aveva irritato il cantautore bolognese. e tutto sommato fanno parte del gioco. Personalmente quello che non mi piace della canzone più che questo è proprio la canzone in sé, molto banale e poi "impreziosita" da un duetto con Nicky Minaji, che quando si tratta di queste cose non si tira mai indietro, ma che non migliore le cose. Ritengo anche sbagliato averlo scelto come singolo, anche se il video è divertente (ma questo, si sa, è un'altro discorso). A parte questo e forse un altro paio di pezzi, il disco risulta un passaggio di maturazione e sperimentazione molto interessante, e l'ennesimo indizio che, probabilmente, la popstar più trasformista ed innovativa, sia proprio Katy Perry.
voto 85/100

martedì 30 maggio 2017

El Dorado di Shakira. Recensione

El Dorado è l'undicesimo album di studio della cantautrice colombiana, che con più di 100 milioni di followers su Facebook e 3 esibizioni prima della finali dei mondiali di calcio può essere considerata la Popstar più globale degli ultimi 20 anni, con buona pace di Madonna.
El Dorado è un luogo leggendario in cui sarebbero nascoste quantità immense di oro e gioielli preziosi. Per cercare questo luogo furono addirittura organizzate delle spedizioni nel corso del XVI secolo, spesso guidate da avventurieri senza scrupolo.
Shakira ha chiamato questo album come il leggendario tesoro, dedicandolo al suo compagno ed ai suoi flgli, ringraziandoli di avergli fatto trovare questo tesoro, che ovviamente per Shakira più che rappresentare la richezza materiale (che ha raggiunto da tempo) rappresenta la ricchezza e la pace interiore.
Il cuore del Cd a mio avviso è rintracciabile  nelle quattro canzoni scritte insieme a Ochoa, il produttore e songwriter che ha accompagnato Shakira fin dai tempi di capolavori come Pies Descalzos e Donde Estàn los ladrones.  Nada è una stupenda ballata, forse tra le migliori in assoluto scritte da Shakira, poesia allo stato puro, ma non sono da meno Amarillo, con i suoi toni rilassati in cui i colori dell'arcobaleno rappresentano uno stato d'animo diverso, Coconut tree, questa volta in inglese, che ricorda alcune delle cose di Oral Fixation, e la conclusiva Toneladas, che rischia di passare inosservata, anche perché richiede un ascolto attento, dove la voce di Shakira è praticamente lo strumento principale, mentre timide note di tastiera servono a puro scopo di accompagnamento.
Se queste sono cuore e cervello dell'album le gambe, sono rappresentate dalle già note Chantaje, la Bicicleta, Deja vu, tutte canzoni che fanno muovere gambe e fianchi. Chantaje ha uno stile reggaeton un poì pesante, ma non si può negare che il duetto con Maluma sia alla dinamite, come dimostra il miliardo di visualizzazioni raggiunte dal video. La Bicicleta è un brano divertentissimo ed anche qui l'alchimia con il simpatico Carlos Vives è riuscitissima. Deja Vu  con Prince Royce,è una bachata dai toni nostalgici ed anche questo duetto appare eccellente. Per chiudere la quaterna dei duetti ecco Pierro Fiel con Nicky Jam, gradevole ma inferiore ai precedenti. Il singolo Me enamore, è una romantica canzoncina dedicata al suo uomo. Ammetto di aver storto il naso quando è uscita, ma dopo qualche ascolto non si può non  trovarla divertente e rinfrescante come una limonata, anzi un mojito.
Di duetti se ne trovano veramente tanti, forse troppi, ed ecco quindi Trap, ancora con Maluma, dalle atmosfere molto rilassate, che onestamente sfiora la noia, ma che si riscatta con un interessante uso della chitarra elettrica sulle ultime note. Forse un maggior uso di questa avrebbe reso più interessante il pezzo. Un altro duetto riuscito è What we said, con i Magic, con atmosfere orientate maggiormenta verso il reggae, e con un ottimo ritornello.
Tutto bene quindi? Non proprio: What we said infatti è presente anche come Comme Moi, altro duetto questa volta con il cantante rap francese Black M, la cui voce è veramente molto sgradevole e sinceramente non si capisce l'utilità di questa doppia versione. Altrettanto inutile e fastidiosa risulta essere When a Woman, in cui Shakira si è affidata ad uno stuolo di collaboratori esterni, con risultati decisamente mediocri, dal momento che la canzone non riesce né a divertire né ad emozionare, risultando un pastiche di stili diversi senza essere né carne né pesce.
In conclusione possiamo dire che il disco ha i pregi e difetti dell'ultimo omonimo album, vi è un numero eccessivo e non sempre giustificato di duetti e collaborazioni, un certa ritrosia di Shakira a scrivere le proprie canzoni come invece faceva ai bei tempi, e la cosa spiace dal momento che alla fine le canzoni scritte da lei e Ochoa risultano veramente di altra categoria, ma forse la famiglia toglie tanto tempo e distrae Shakira da questo aspetto della sua professione, riducendola ad un ruolo più da cantante che da autrice. Sull'altro lato il disco è complessivamente più riuscito del precedente, maggiormente compatto, sostanzialmente gradevole, a parte quel paio di cadute di tono già elencate, probabilmente può anche guadagnare con il tempo e tra le ultime 4 uscite lo possiamo collocare appena dietro a Sale el Sol come qualità complessiva.
Sul booklet viene riportata una citazione di Pablo Neruda che dà il senso a tutto l'album
Non si sorprenda nessuno perché voglio consegnare agli uomini i doni della terra, perché imparai lottando che è il mio dovere terrestre propagare l'allegria, e compio il mio destino col mio canto.
Ecco,  questo album va preso come un tentativo di portare allegria in un mondo pieno di lotte e a volte crudeltà, questo è il senso, il portare la propria felicità a tutti gli altri. E da questo punto di vista credo che lo scopo sia raggiunto
voto 8

lunedì 22 maggio 2017

recensione di After Laughter di Paramore


After Laughter è il quinto album ufficiale dei Paramore. Il precedente self intitled album, aveva segnato un cambiamento non solo nella line up del gruppo, ma anche nella musica, diventata più pop ma anche più varia ed aperta, e a mio modo di vedere anche mostrava una notevole maturazione del gruppo, che passava da un ambito adolescenziale ad uno più maturo. Questo disco segnala una mutazione ancora più netta nella musica dei Paramore. È necessaria a questo punto una lunga premessa: arrivati al terzo/quarto disco il gruppo o solista che sia si trovano di fronte ad un dilemma: continuare ad andare avanti come niente fosse, rischiando di ripetersi ed annoiare e diventare delle parodie di se stessi, oppure cambiare, poco o tanto, aprendosi ad un pubblico più variegato e mettendosi in gioco, crescendo e maturando, ma rischiando anche accuse (non sempre peregrine) di essersi svenduti, o di aver perso di vista le proprie caratteristiche, finendo magari per proporre una musica ancora più banale e stantia di quella che si era appena lasciata alle spalle.
Si possono fare molti esempi nell'uno o nell'altro senso: credo che il confine  fra maturazione e "sputtanamento" sia sottile e spesso indefinito, ma credo anche che un gruppo possa ritenersi fedele a se stesso se, pur cambiando la forma musicale, mantiene inalterato lo spirito che lo anima, e se mantiene una certa originalità musicale.
Ritengo che After Laughter ricada in quest'ultima categoria. Il disco prosegue quindi il percorso iniziato con "Paramore", diciamo si ispira alla parte più pop di questo, tanto per capirsi a brani come Still into you e Ain't it fun soprattutto. La gran parte dei pezzi sono di tipo dance /funk, ma mantengono una propria matrice che li distingue dalla musica attuale in modo abbastanza netto. In qulache pezzo qualche piccolo rimasuglio di Pop/punk rimane, e vi è spazio per esperimenti acustici,come in 26, o per brani ibridi, come Fake Happy" dove pop, acutico e pop/rock si intrecciano. Vi è anche spazio per brani sperimentali, come lo stranissimo "No Friend", dove Hailey Williams non canta. Alla fine se vediamo i Paramore continuano a parlare nei loro testi degli stessi argomenti: amore, odio, solitudine, speranza, tristezza, allegria e alienazione e rabbia. Solo lo fanno in un modo diverso, più sottile, più articolato e sfuggente. Le canzoni sono in ogni caso dannatamente orecchiabili come e più di prima e mettono ugualmente voglia di ballare, muoversi, urlare.
Insomma è cambiata la veste, ma non la sostanza.
In conclusione, se volete un disco di Punk/pop come ai vecchi tempi, meglio indirizzare altrove le vostre attenzioni, oppure riascoltarvi i primi 3 del gruppo, ma se volete seguire il gruppo americano nella sua evoluzione, o semplicemente ascoltare della buona musica che unisce divertimento e qualità, allora questo disco fa per voi.
Per me, insomma, è un sì, più che un no. I paramore hanno scelto di rischiare, ed io sto con loro.
Voto 8

martedì 20 dicembre 2016

Katie Melua: In Winter -recensione

Settimo disco in Studio per la dolce Katie Melua, cantante di origini giorgiane trapiantata (con successo) in Gran Bretagna, prima a Belfast, dove suo padre, apprezzato chirurgo, si trasferì per esercitare la sua professione, poi a Londra, dove capì che il suo futuro non sarebbe stata di Dottoressa, ma di cantante e musicista.
Tutto sommato meglio così, anche se penso che mi sarei fatto curare volentieri da Katie...
Ma torniamo a questo disco, dove Katie  riscopre le sue origini, non solo georgiane, ma direi est-europee.
Il disco si intitola Winter, ovvero inverno, e di fatto è un disco, se non proprio natalizio, diciamo invernale, adattissimo alle lunghe serate fredde e nebbiose, magari anche nevose.
Nel disco sono presenti diversi brani presi dalle tradizione folk orientale: l'iniziale Schhedryk (The Little swallow), dalla tradizione Ucraina, Leganelul lei lisus (The cradle) dalla tradizione della Romania, Tu ase Turpa Ikavi (you're so beautiful) dalla tradizione della Georgia e il vero e proprio canto di Natale Nunc Dimittis un canto della Chiesa Ortodossa Russa. A dare man forte a Katie è il Gori's Women Choir, gruppo corale di Gori.
IL resto del disco mantiene le caratteristiche di suadente dolcezza e serena malinconia che ben si adattano ai tempi invernali e natalizi. tra le altre  canzoni spiccano River, cover di Joni Mitchell, la evocativa Plane song e Perfect world, dovute invece queste alla penna di Katie,fino alla chiusura con Holy Night, che chiude perfettamente questo viaggio fra le tradizioni natalizie approdando finalmente in terra inglese (anche se l'originale è francese)
Un disco che forse qualcuno troverà noioso, io invece trovo assolutamente affascinante, adattissimo alle lunghe serate invernali, da sentire mentre si mangia, o ci si rilassa sul divano, magari vicino ad un caminetto accarezzando il gatto e guardando fuori dalla finestra la neve cadere...



giovedì 15 dicembre 2016

pretty reckless- recensione di who you selling for

Terzo disco per i pretty reckless guidati dalla bella Taylor Mommsen, questo WYSF si presenta come un disco in cui la band è chiamata ad un salto di qualità, dopo il buon esordio di Light me Up e l'eccellente seguito di Going to hell.
Il disco si apre con un breve interludio intitolato the walls are closing in che che poi esplode nel suceessivo Hangman, dalle atmosfere dark, un ottimo inizio a cui fa seguito Oh My God, un pezzo abbastanza sulla linea dei precedenti dischi, . Il  successivo Take me down lascia un giudizio ambivalente: da un lato la canzone è gradevole ed orecchiabile, dall'altro rende omaggio fin troppo esplicito a Simpathy with the Devil. .
Anche il successivo  Prisoner ricorda forse un po' troppo gli Ac/Dc e, a differenza del precedente ,non procura particolare piacere, risultando alquanto pesante e monotono, Con Wild city però il disco si risolleva. BAck to the river, è una  ballata dai toni nono troppo velatamente country.  E così si arriva alla eccellente Who you selling for ma non è finita qui perché ,si prosegue con un trittico altrettanto bello ed emozionante: Bedroom Window, Living in the storm e Already Dead sono tre pezzi diversi ma ugualmente favolosi, con atmosfere che spaziano dal folk, di Bedroom window, al rock duro e roccioso di Living in the storm, secondo me il brano più bello dell'album, assolutamente travolgente, all'imprevedibile  blues di Already dead,
Dopo The Devil's Back che è pure di ottimo livello, il finale è affidato  a Mad Love, un pezzo di rock funky che non convince appieno.
In definitiva I Pretty reckless confermano le loro doti positive, una cantante dalla voce adatta al genere e convincente, un gruppo di buoni musicisti e buone intuizioni, la capacità di affrontare vari generi senza discostarsi troppo dalle proprie caratteristiche,  però alle volte risultano poco originali e monotoni. Nell'insieme però il disco, pur non perfetto, risulta ampiamente soddisfacente, molte canzoni ed alcuni momenti in particolare sono notevoli, insomma alla fine i difetti sono "questione di lana caprina" ed i pregi sono di gran lunga superiore.
Forse non è ancora il capolavoro atteso, ma ci si avvicina parecchio


lunedì 31 ottobre 2016

Green Day - Revolution Radio. recensione


Dopo le faticate dell’ultima trilogia i Green Day tornano con un disco carico ancora di energia e creatività. E’ incredibile come questo gruppo sappia ancora, dopo tanti anni, creare canzoni sempre nuove e interessanti, pur senza staccarsi o tradire la originaria impostazione.
Il disco si apre con Somewhere New, un pezzo rock abbastanza pacato, per poi esplodere nel puro punk rock di Bang Bang, che però contiene un bridge imprevedibile. Quasi altrettanto tirato è Revolutino Radio, destinato a diventare uno dei loro anthem futuri, Say Goodbye è ugualmente riuscito, mentre Outlaws è nuovamente un brano più pacato, un po’ nella linea di 24 guns, ma con atmosfere quasi oniriche che poi esplodono in un ritornello potente e lirico.
Bouncing on the walls ci riporta un po ‘ Green day di Holyday.
Still breathing è un altro pezzo bellissimo, giocato anch’esso sull’alternarsi di fasi calme ed altre più potenti, mentre Young Blood è un pezzo che richiama un po’ il rock’n roll anni 50/60.
Too Dumb to die è un altro pezzo punk-pop con un convincente riff.
A questo punto arrivano le 2 canzoni secondo me più belle del disco. Troubled Times, con un inizio in sordina che poi esplode in un potentissimo hookForever New è un pezzo che riporta ai Green Day di Jesus of Suburbia, essendo un brano composto di 3 parti diverse.Ordinary World è un brano acustico che chiude il disco in modo degno.
Ancora una volta i Green day fanno centro, riuscendo a proporre una musica sempre all’altezza, rispetto ai dischi precedenti hanno operato una maggiore elezione dei brani, offrendo all'ascoltatore solo i brani migliori, e il risultato è evidentemente migliore. 
Considerazione finale: in un mondo che sembra cadere a pezzi, i Green Day  rappresentano per quanto mi riguarda un punto fermo, un'oasi di salvezza in cui rifugiarsi nei momenti no, o per celebrare i momenti sì