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sabato 9 gennaio 2021

Recensione: Plastic Heart di MIley Cyrus


 La piccola Miley, già star della Disney nella seconda metà della decade precedente, è cresciuta. Non sto intendendo sul piano fisico e della età, questo è del tutto ovvio, ma artisticamente. Lo si era visto già nei precedenti dischi,  in particolare Forever Young, ma questo è ancora più chiaro dall'ascolto attento dell'ultimo Plastic Heart, il cui unico difetto è che avrebbe potuto essere anche migliore.

In questo disco Miley rende più esplicito l'amore che ha da sempre dimostrato verso certo rock anni 70-80, e che si concretizza in un paio di duetti con nomi importanti di quell'epoca, ovvero Billy Idol e Joan Jett. Beninteso la musica di Plastic Heart di base è sempre pop, e sovente dance, ma è indubbio che siano ben presenti e riconoscibili elementi di rock sparsi qui e là come le spezie su un arrosto, non sono la base del piatto ma ne costituiscono un elemento capace di dare un certo gusto e retrogusto piacevole (magari con un vino adatto..)

Il disco si apre con WTF i Know, un pezzo  che utlizza un impianto musicale abbastanza classico nel repertorio di Miley, una base dance a cui si sovrappone un arrangiamento più rock nel ritornello. un discreto pezzo. Meglio il secondo pezzo, la title track Plastic Heart, più vicina ad uno stile pop-rock di impianto classico, molto gradevole ed anche trascinante, in cui si distingue un buon assolo di chitarra elettrica nel bridge. Il terzo pezzo Angels Like you, è invece una ballata che inizia in modo quasi timido, per poi crescere man mano e ricorda il materiale del precedente FOrever Young. Prisoner propone un duetto con l'emergente star della nuova dance Dua Lipa, ed è sicuramente il dbrano dal maggiore appeal commerciale, e bisogna dire che assolve senza problemi il suo ruolo, anzi direi che è meglio del prevedibile. Esiste anche una versione rock che è semplicemente travolgente ed è un peccato non sia stata offerta al pubblico (almeno in questa edizione del cd). Gimme what I want per quanto mi riguarda è di sicuro il brano meno riuscito ed interessante del disco. L'arrangiamento risulta piuttosto pesante, e la canzone abbastanza strasentita, diciano sullo stile di ciò che ha prodotto Lady Gaga negli ultimi 12 anni. 

Per fortuna subito dopo  giunge Night Crawling, ovvero il duetto con Billy Idol, ed è letteralmente un'altra musica. Batteria pesante, tastieroni e chitarre ruggenti, nulla da invidiare ai brani  fra il punk ed il pop che hanno reso famoso Bily nei promi anni 80. Il duetto fra i due è poi pura materia incandescente. Decisamente sì. Il cd da qui compie come un salto di qualità. Ed ecco Midnight Sky, dalle atmosfere suadenti ed avvolgenti, seguita da High, una ballata in stile country, come quelle degli ormai lontani esordi di Miley, uno stile che, a mio modesto avviso, le si addice totalmente. Anche la successiva Hate me è una ballata seppure con uno stile più moderna e, nondimeno è riuscitissima. A seguire l'altro duetto con Joan Jett che, però, rispetto a quello con Billy Idol mi pare meno riuscito, ritornello carino e orecchiabile, ma la parte della strofa la trovo decisamente rivedibile, Never Be me è un'altra ballata, forse un po' scontata, ma sicuramente gradevole ed orecchiabile. Chiude il tutto Golden G Strings, un'altro brano lento ma dalle caratteristiche diverse dai precedenti. 

In conclusione si tratta di un'ottimo album, guastata da un paio di canzoni non del tutto all'altezza, che certo non rappresenta un capolavoro assoluto della musica pop, ma che di sicuro assicura un gradevole ascolto riservando anche alcune sorprese. Rimane il dubbio, avendo ascoltato alcuni inediti, che il disco avrebbe potuto essere anche migliore.

Voto 8,5


giovedì 3 dicembre 2020

Recensioni: Smile di Katy Perry


 Quinto disco di Katy Perry  (ma sesto se consideriamo il disco uscito sotto il suo vero nome di Katy Hudson nel lontano 2002) Smile si pone in un modo alquanto enigmatico nella discografia della cantante  e autrice californiana. Partita dal pop-rock di One of the Boys per approdare a lidi decisamente più pop nei successivi Teenage Dream e Prism, per poi virare verso una versione più dance con il problematico Witness, ora Katy, da poco diventata madre, sforna un lavoro che, pur essendosoto il profilo strettamente musicale un proseguio di Witness, se ne differenzia sul piano dei contenuti, e lascia intendere un possibile sviluppo verso altre direzioni, anche perché è difficile pensare che una carriera così piena di sorprese e cambiamenti possa fermarsi in uno stile.

Il disco si può dividere in varie tematiche che vengono affrontate, che possiamo dividere in 4 categorie: Amore, Resilienza, Autoaffermazione e Gioia. Ecco, la cosa che più emerge dall'ascolto del disco è questa atmosfera non semplicemente e magari supeficialmente allegra, ma sintomo di una felicità raggiunta, una completezza data anche dalla maternità e dall'aver raggiunto un equilibrio come personale. Seppure personalmente ho sempre amato la prima versione di Katy Perry, e diciamo pure che seppure né Witness né questo disco mi soddisfino del tutto dal punto di vista della veste musicale, non si può negare che questo disco sia un disco "felice", che sprizza ottimismo e gioia di vivere, pur nelle difficoltà e nella complessità del mondo moderno, come nell'emblematica "It's not the end of the world" uno dei pezzi migliori   Daisy, Resilient, Champagne Problems, evidente omaggio alla dance fine anni 70. la ipnotica Harleys in Haway, la coinvolgente Cry about it later, e la ballata finale What makes a Woman si segnalano tra le canzoni più valide .  Il senso del disco, come anche della copertina, a mio modo di vedere molto azzeccata, si può trovare nella consapevolezza che, anche se la vita può darci motivi di tristezza e malinconia, bisogna sempre trovare la forza, la resilienza dentro di noi, per tornare a sorridere , senza piangerci addosso.

 In definitiva un disco tutt'altro che disprezzabile, e spiace l'insuccesso che ne ha caratterizzato il percorso commerciale, ma forse potrebbe anche essere un bene, che potrebbe spingere Katy a regalarci quel disco acustico promesso anni fa, e che stiamo ancora aspettando.

voto 8

sabato 24 ottobre 2020

Katie Melua - Heading Home (Official Audio)

 

Katie Melua ha  sempre realizzato ottimi dischi da quando è in attività, esattamente sette. Ed eccola quindi in questo disgraziato anno a realizzarne uno nuovo, che si chiama, manco a dirlo, Albun number eight, ovvero Album numero otto, resuscitando una tradizione che vedeva nei Led Zeppelin ed in Fabrizio de ANdrè i maggiori rappresentanti, ovvero la tradizione di chiamare l'album con un semplice numero al posto di un impegnativo titolo. Facezie a parte mi pare che il disco contenga canzoni tranquille e rilassate, l'ideale per questo periodo travagliato. Tornerò a parlare prossimamente più nel dettaglio, per il momento godiamoci questa canzone estratta dall'album (numero otto !)

mercoledì 21 ottobre 2020

The Struts, Phil Collen, Joe Elliott - I Hate How Much I Want You

 

Questo periodo post pandemia(o ante-pandemia non si capisce più niente!) è caratterizzato da moltissime novità. In realtà sono io che sono rimasto indietro per via della mia pigrizia e non ho aggiornato questo fantastico blog, troppo perso nelle pieghe degli infami ed inutili social per dedicare tempo alle cose che realmente mi interessano.

Tra le tante novità, di cui aggiornerò col tempo, ecco il gruppo inglese the Struts, che dopo il bel concerto di Milano da me recensito, torna alla mia attenzione con varie track, tratte dal loro prossimo lavoro in uscita che si chiama...come si chiama? beh in qualche modo si chiamerà! Questo brano mi pare che abbia tutte le carte in regola per sfondare, o almeno per "spaccare" Riffone di chitarra, batteria potente, assolo di chitarra e cori da pub. L'ideale con una bella rossa, intendo dire la birra, che avete capito!