sabato 20 novembre 2021

Avril Lavigne - Bite Me (Official Video)

Venerdì scorso è uscito il nuovo video Di Avril Lavigne, video che dovrebbe inaugurare la nuova era, al momento denominata Al 7, poichè sarà il settimo disco della rocker canadese. Il pezzo segna un pieno rientro della originaria di Toronto nell'alveo del Pop-Punk, dopo almeno un decennio di assenza dal genere, in cui Avril ha sperimentato vari generi musicali, dall'acustico di Godbye Lullaby, al pop dell'0m9nimo album, fino ad arrivare ad un disco quale Head Above Water, intriso di umori Soul ed atmosfere dark, con qualche capatina in un pop "impegnato", per così dire. Bite ME invece ci ripropone suoni decisamente più rock, un alternarsi di frasi musicali diverse, con un hook decisamente trascinante (come deve essere) un pezzo che ti entra rapidamente in testa, ma rimane gradevole dopo ripetut ascolti, e che si inserisce perfettamente all0interno del Revival Pop/punk di questo periodo, con artsti com eModSun ( legato sentimentalmente ad Avril) MAchine Gun Kelly, e soprattutto YOngblood, tutti artisti che dovrebbero essere presenti nel disco che dovrebbe uscire verso febbraio.

Nient'altro da dire se non "Rock on Avril, Rock on"

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giovedì 14 ottobre 2021

Gli imperdibili: X- Under the Big Black Sun

 Gli X sono uno dei gruppi che ho amato di più, e sono sempre stato imbarazzato da due cose su di loro: 1) il loro nome, che già di per sè è abbastanza stambo ed anonimo, anche se facile da ricordare,  e non esssendo nemmeno fornito di articolo (the) davanti diventa spesso  difficile da comunicare o anche solo scrivere. 2) il fatto che siano uno dei gruppi più misconosciuti, almeno qui in Italia, pur avendo avuto un certo seguito ed apprezzamento negli Usa, e, a livello di nicchia e molto tempo fa, anche qui nella penisola. 

E arriviamo al disco che ci interessa; Under The big black sun, uscito nell'estate del 1982, è il terzo disco della band losangelina, che aveva già pubblicato due intensi lavori: l'esordio con Los Angeles, ed il seguito Wild Gift, due eccellenti lavori, in cui la forza e l'irruenza del Punk si sposavano con il rockabilly e soprattuto con un lirismo, grazie anche all'amalgamarsi di due voci, uno maschile e l'altra femminile, che lo hanno sempre reso un qualcosa di unico nell'ambiro del punk/new Wave (e non solo).

Pur essendo i già citati dischi, e anche i successivi, ottimi dischi, Under the big Black Sun rimaneil mio disco preferito della band californiana: infatti qui il discorso musicale si amplia ulteriormente, aprendosi a generi musicali impensabili, come il Country,e include aperture melodiche inedite, il tutto senza rinunciare né all'impatto della chitarra elettrica e della batteria, ma sopratutto  al lirismo delle voci e delle atmosfere, e direi alla poesia dei testi, creando un qualcosa non solo di gradevole, ma che spesso dà i brividi all'ascoltatore,

Il disco si apre con Hungry Wolf; un rock teso e lirico, che parla di lupi innamorati, che predano insieme e vivono insieme per l'intera vita. Motel Room in my Bed è una delle canzoni liriche del disco, un upbeat veloce, con la chitarra rockabilly del chitarrista Billy Zoom ad accompagnare in modo mirabile le voci di Axene e John. Riding with Mary è una canzone dedicata al ricordo della sorella di Exene, scomparsa qualceh mese prima, una canzone dalle atmosfere Dark, con una chitarra forte, che ricorda i primi lavori del gruppo. Come Back to me, ancora dedicata al ricordo della sorella, ci sorprende con le sue atmosfere dolci e nostalgiche, una ballata che tuttavia non cade nello sdolcinato. Poi è la volta della title track, uno dei pezzi più belli dell'album, anche questo un pezzo in cui i precisi arpeggi di Billy la fanno da padrone, e dove il lirismo raggiunge apici irraggiungibili. Il successivo Because I do, è un pezzo decisamente punk, dove la batteria  la fa da padrone, imponendo un ritmo travolgente al brano.

Dancing with tears in my eyes è un altro brano semplicemente stupendo, una ballata country, veramente sorpendente se consideriamo scritta ed eseguita da un gruppo punk, uno di quelli che "Non sa suonare" secondo i soloni e gli incompetenti che ancora animano il web. Il successivo Real child of Hell mantiene le promesse del titolo, è un pezzo tiratissimo, un punk'n'roll tipico degli X.

How I learned My lesson, è un pezzo veloce dove le voci di John ed Exene si alternano in modo molto gradevole. Il disco si chiude con The Have nots, che parla di emarginati che consumano le loro vuote esistenze in bar malfamati bevendo fino all'ultima goccia, ma non è un discorso moralista quello degli X, ma una degna celebrazione della working class, fatta con il loro stile, ed è ancora un brano riuscitissimo, che cresce mano mano che la canzone procede.

Che dire? un capolavoro, che riascoltato dopo anni non delude affatto ma ancora regala quelle sensazioni ed emozioni della prima volta.




venerdì 24 settembre 2021

Gli imperdibili: In Style di David Johansen

 David Johansen è un personaggio straordinario, non solo perché ha fatto la storia del rock con le New York Dolls, ma anche perché è stato capace di reinventarsi più di una volta, anzi, esattamente tre.

La prima reinvenzione è stata iquando decise di intraprendere una carriera solista certamente influenzata dal suo passato con le "bambole di New York" ma che ha anche toccato ambiti musicali molto lontani dal glam/punk rock della precedente band. Poi, sotto le mentite spoglie di Buster Pointdexter, si è vestito dei panni del Crooer, toccando ambiti musicali del tutto diversi. Infine negli anni 2000 ha pubblicato un paio di dischi fra il country ed il folk, per ritornare a cantare i vecchi brani dei Dolls in compagnia dell'unico altro sopravvissuto Syvain Sylvain.

Qui ci occupiano della seconda parte di carriera di David, ed in particolare del disco In Style, pubblicato nel 1979, dopo l'uscita del primo omonimo album.Seppure anche  il  primo disco ed il successivo Here comes the night siano lavori di ottimo livello, personalmente la palma di migliore la concedo a In Style (e al live Live it up, anche se i dischi dal vivo sono un discorso a parte). La ragione di questa mia scelta, del tutto soggettiva, è forse anche dovuta al fatto che è stato, credo, il primo disco di Johansen da me comprato, ne raccattai una copia usata nel mitico negozio Metropolis, allora situato in via Padova a Milano (ancora resiste, solo si è spostato di qualche metro) al prezzo di lire 7.500 (non ho una memoria straordinaria, semplicemente è ancora appiccicata l'etichetta). In larga parte però quello che me lo fa preferire è la varietà degli stili musicali che compongono il disco. Si parte con Melody, un pezzo molto orchestrato, una sorta di rock sinfonico, se così si può definire. A seguire il rock decisamente "dollsiano" di She, un pezzo che ti lascia senza fiato. Col terzo brano, Big City, iniziano le sorprese vere, si tratta di un  brano da "big orchestra", in cui si intravede la via che David percorrerà successivamente come Buster Pointdexter. She Knew she was falling in love, è un pezzo con cadenze un po' reggae ed un po' latineggianti, molto gradevoli, mentre Swaneto Woman è un brano decisamente pop, diciamo che non è il brano migliore del disco. La seconda facciata (o sesto brano nella versione Cd) si apre con Justine, una bellissima ballata romantica, uno dei vertici del disco, ma le smancerie non durano molto, perché il brano successivo è la title track In style, e di nuovo le atmosfere sono quelle dei New York Dolls, un rock potente e primitivo che spinge a muovere i piedi e ad agitarsi sulla poltrona. You touched me too è un' altra ballata con armonica ed un ottimo arrangiamento, mentre Wreckless Crazy è di nuovo un brano rock, veloce e audace.

La chiusura è affidata a Flamingo road, un'altra ballante, drammatica e toccante, che chiude degnamente un gran disco, il cui livello è giusto abbassato da Swaneto Woman, la cui presenza nel disco può essere giustificata dalla volontà di Johansen di toccare ambiti musicali disparati, seppure l'impronta rock sia quella prevalente. Per quanto mi riguarda questo è un disco imprescindibile, e se vi piacesse vi consiglio di comprare o ascoltare anche gli altri. Non dovreste rimanere delusi.




mercoledì 3 febbraio 2021

Blast from the Past : spirit of 76' By The Alarm

Oggi parliamo di  The Alarm, uno dei gruppi più sottovalutati della scena rock degli anni 80, che vengono ritenuti mitici per le ragioni sbagliate (principalmente di tipo nostalgico) e non per quei gruppi che, soprattutto nella prima parte, quando l'ondata di rinnovamento originato dal Punk e dai suoi innumerevoli derivati non si era ancora spenta del tutto ma alimentava il fuoco della creatività artistica. 

Ecco  che in quel marasma creativo all'inizio dei faboulous eighties spunta in quella arida e dura regione chiamata Galles un quartetto di ragazzotti, decisamente spettinati, che mischiano con sapienza e potenza la energia brutale dei Clash, il lirismo di Springsteen,  la forza degli WHO, non dimentichi della lezione del Maestro Bob Dylan, proponendo un decisamente innovativo mix di punk, folk e rock. Nonostante  i critici non li abbiano mai presi troppo sul serio, forse per la troppa lacca nei capelli e per la sofisticata ricerca del look, e li abbiano accusati indegnamente di essere solo dei "riscaldatori di minestre" (bestemmia da punire con il taglio delle mani!) in realtà Gli Alarm hanno saputo proporre una musica fresca ed energetica, che soprattuto dal vivo raggiungeva vette non facilmente raggiungibili dai comuni mortali. Forse l'unico difetto di questa band è stata di non riuscire a raccogliere nei dischi di studio tutta questa potente eneriga e freschezza, ma ciò non toglie che i loro dischi, soprattutto i primi due, e a mio avviso anche l'ultimo, sono decisamente dischi dignitosissimi, e diciamo pure imperdibili per chiunque sia un degno seguace del rock'n'roll.

 
 
Spirit of 76, tratto dal loro secondo album,  Strenght,  uscito nel 1985, è una lunga ballata quasi springsteeniana, dove si ricordano i vecchi tempi, la storia di un gruppo di amici, la caduta delle illusioni, come il tempo abbia scavato un solco fra tutti loro portando amarezza e dolore, al posto della "terra promessa" della felicità.
Tuttavia in questa disperazioneil cantante Mike Peters, trova un raggio di luce: "Peter i cui sogni si sono realizzati" ma "per uno che riesce sono molti a cadere" però vale la pena "lottare con tutte le forze, costruirsi un futuro con le proprie mani!" 
Una canzone nostalgica e sulla disillusione, ma anche sulla forza di resistere, di andare avanti, di proseguire il cammino, costi quel che costi. 
Una di quelle canzoni che parlano al cuore ed alla mente, e che, ancora dopo così tanti anni, mi commuove ed emoziona.


venerdì 15 gennaio 2021

Ho detto Bond, James Bond ovvero viaggio fra le colonne sonore dell'agente segreto più famoso del mondo

 Tra pochi mesi uscirà (diciamolo; speriamo che esca ) il nuovo James Bond dal titolo No time to die. Come sempre il film ha una colonna sonora, e come sempre c'è un'artista od un gruppo a cui è affidato il non facile compito di scrivere o interpretare il brano principale, quello che a cui sarà legato il ricordo, quantomeno musicale, del film, ovviamente con relativo video. 

Scrivere un brano per i film di James Bond non è facile, per diversi motivi. In primis si finisce, come peraltro vale anche per i Mondiali di calcio o le Olimpiadi, sulla bocca di tutti, anche di chi magari non è proprio un esperto od un fan di quell'artista, quindi bisogna sapere accontentare un po' tutti i gusti. Tuttavia, a differenza dei sopracitati avvenimenti, che dopo un mese si concludono, un film rimane per sempre, nel bene o nel male, può essere rivisto anche a distanza di anni e decenni, e così la sua colonna sonora. Ed infine, cosa più importante, una canzone che accompagna un film di James Bond deve avere un certo fascino un certo tipo di sonorità un po' retrò, anni 50  o giù di lì, deve avere una forza evocativa nel testo ed una interpretazione vocale all'altezza.

Per quest'ultima fatica dell'agente segreto più famoso del mondo l'onore e l'onere è capitato alla emergente e strombazzatissima Billie Eilish, che se l'è cavata tuttosommato bene, come possiamo vedere dal video.

E' vero che la canzone manca di vivacità, forse non è così trascinante come ci si aspetterebbe da un brano che fa  da accompagnamento a  quello che, alla fin fine, è un film d'azione. Tuttavia bisogna anche riconoscere che il mood sonoro è quello giusto, con quel tanto di gusto retrò che ci vuole, e che in altre interpretazioni viceversa è mancato. Infine, e non per ultimo, l'interpretazione canora è sublime, e sicuramente dà qualcosa in più rispetto ad altre.

Tuttavia non è questa la migliore colonna sonora di un film di James Bond. Andando indietro nel tempo bisogna ammettere che molti si sono cimentati, ma spesso hanno fallito,  o almeno non hanno del tutto soddisfatto, anche nomi blasonati,come Tina Turner, che per Golden eyes  non riuscì ad andare oltre ad un brano decententemente orchestrato, ben interpretato, ma privo di vero pathos. Anche Alicia Keys e Jack White,  improbabile copia assoldata per Another Way to die firmarono un brano che avrebbe dovuto unire soul e rock mantenendo lo stile anni 50, ma non ruscirono ad andare oltre ad una canzone che per molti verso risulta essere un pasticcio kitsch e solo a tratti risulta convincente-

Certo è tutto grasso che cola in confronto ai mai troppo denigrati Duran Duran  che per A View to a  Kill produssero un brano totalmente insensato, peraltro adeguato ad uno dei film meno riusciti. Ai poco conosciuti Gladys Knight toccò musicare License to Kill, ma dovremmo dire che agli spettatori toccò ascoltare la loro noiosissima composizione, e peraltro continuarono a rimanere poco conosciuti anche dopo di ciò, e qualche ragione ci sarà stata, credo...

I Garbage andarono vicino a centrare l'obiettivo con  The World is not Enough. L'atmosfera era quella giusta, gli archi ed i violini c'erano, tutto sommato anche la canzone c'era. La cosa che non funziona del tutto è però l'interpretazione di Shirley Manson, che appare vocalmente troppo limitata, e soprattutto nell'arrangiamento, condito di troppe percussioni elettroniche e appesantita da troppi strumenti che finiscono col rovinare l'ascolto rendendolo dopo un poco piuttosto pesante. 

A questo punto vi chiederete:ma  allora non c'è nessuno che abbia fatto qualcosa di soddisfacente? Per fortuna qualcuno c'è. Abbiamo detto che la colonna sonora di 007 deve avere un gusto retrò per risultare riuscita. E chi, meglio di Adele, poteva riuscire nell'impresa?  E difatti la cantante inglese con Skyfall. uscito nel 2012 riuscì nell'impresa confezionando un brano praticamente perfetto, o quasi. Vedere (ed ascoltare) per credere 

Tuttavia, per quanto il brano rispecchi quelli che devono essere i parametri che abbiamo stabilito, forse c'è chi ha fatto anche meglio.

 Se Billie Eilish è sul terzo gradino del podio ed Adele sul secondo chi sarà sul primo? Bene prima di svelare il nome del vincitore (o vincitrice) penso ci sia spazio per una "onorevole menzione" ovvero un brano che, pur essendo validissimo, non rientra del tutto nei parametri a cui mi sono attenuto. Ed ecco che  questo riconoscimento va al compianto Chris Cornell, che scrisse un brano rock dal titolo "You know my name" scritta per Casino Royale del 2007 , che certo non può rientrare nei parametri musicali sopra descritti, e tuttavia non si può negare sia un bel brano riuscito, con quel tanto di nostalgia ed una buona dose di adrenalina che è indispensabile per un film d'azione 



E arriviamo al vincitore, o meglio Vincitrice, che per me è senza ombra di dubbio Sheryl Crow, che, per Tomorrow never dies, tirò fuori dal cilindro il brano perfetto. Fin dalle prime note si capisce che qui si fa sul serio.

In effetti i primi 16 secondi di apertura sono esattamente quello che ci si dovrebbe aspettare dalla colonna sonora di un film di James Bond: la preparazione a qualcosa di misterioso e travolgente che accadrà da lì a poco. E dopo lo sparo di prammatica (ma non sempre c'é) la voce suadente, dolce e sexy di Sheryl arriva al momento giusto per convincerci definitivamente che quella é la canzone di James Bond, senza se e senza ma. Ed il brano  si sviluppa come da copione, con la voce di Sheryl che ci accompagna tenendoci per mano, dentro sensazioni uniche, in un crescendo affascinante e stordente.



Questa almeno è la mia personalissima classifica, voi fate la vostra.




sabato 9 gennaio 2021

Recensione: Plastic Heart di MIley Cyrus


 La piccola Miley, già star della Disney nella seconda metà della decade precedente, è cresciuta. Non sto intendendo sul piano fisico e della età, questo è del tutto ovvio, ma artisticamente. Lo si era visto già nei precedenti dischi,  in particolare Forever Young, ma questo è ancora più chiaro dall'ascolto attento dell'ultimo Plastic Heart, il cui unico difetto è che avrebbe potuto essere anche migliore.

In questo disco Miley rende più esplicito l'amore che ha da sempre dimostrato verso certo rock anni 70-80, e che si concretizza in un paio di duetti con nomi importanti di quell'epoca, ovvero Billy Idol e Joan Jett. Beninteso la musica di Plastic Heart di base è sempre pop, e sovente dance, ma è indubbio che siano ben presenti e riconoscibili elementi di rock sparsi qui e là come le spezie su un arrosto, non sono la base del piatto ma ne costituiscono un elemento capace di dare un certo gusto e retrogusto piacevole (magari con un vino adatto..)

Il disco si apre con WTF i Know, un pezzo  che utlizza un impianto musicale abbastanza classico nel repertorio di Miley, una base dance a cui si sovrappone un arrangiamento più rock nel ritornello. un discreto pezzo. Meglio il secondo pezzo, la title track Plastic Heart, più vicina ad uno stile pop-rock di impianto classico, molto gradevole ed anche trascinante, in cui si distingue un buon assolo di chitarra elettrica nel bridge. Il terzo pezzo Angels Like you, è invece una ballata che inizia in modo quasi timido, per poi crescere man mano e ricorda il materiale del precedente FOrever Young. Prisoner propone un duetto con l'emergente star della nuova dance Dua Lipa, ed è sicuramente il dbrano dal maggiore appeal commerciale, e bisogna dire che assolve senza problemi il suo ruolo, anzi direi che è meglio del prevedibile. Esiste anche una versione rock che è semplicemente travolgente ed è un peccato non sia stata offerta al pubblico (almeno in questa edizione del cd). Gimme what I want per quanto mi riguarda è di sicuro il brano meno riuscito ed interessante del disco. L'arrangiamento risulta piuttosto pesante, e la canzone abbastanza strasentita, diciano sullo stile di ciò che ha prodotto Lady Gaga negli ultimi 12 anni. 

Per fortuna subito dopo  giunge Night Crawling, ovvero il duetto con Billy Idol, ed è letteralmente un'altra musica. Batteria pesante, tastieroni e chitarre ruggenti, nulla da invidiare ai brani  fra il punk ed il pop che hanno reso famoso Bily nei promi anni 80. Il duetto fra i due è poi pura materia incandescente. Decisamente sì. Il cd da qui compie come un salto di qualità. Ed ecco Midnight Sky, dalle atmosfere suadenti ed avvolgenti, seguita da High, una ballata in stile country, come quelle degli ormai lontani esordi di Miley, uno stile che, a mio modesto avviso, le si addice totalmente. Anche la successiva Hate me è una ballata seppure con uno stile più moderna e, nondimeno è riuscitissima. A seguire l'altro duetto con Joan Jett che, però, rispetto a quello con Billy Idol mi pare meno riuscito, ritornello carino e orecchiabile, ma la parte della strofa la trovo decisamente rivedibile, Never Be me è un'altra ballata, forse un po' scontata, ma sicuramente gradevole ed orecchiabile. Chiude il tutto Golden G Strings, un'altro brano lento ma dalle caratteristiche diverse dai precedenti. 

In conclusione si tratta di un'ottimo album, guastata da un paio di canzoni non del tutto all'altezza, che certo non rappresenta un capolavoro assoluto della musica pop, ma che di sicuro assicura un gradevole ascolto riservando anche alcune sorprese. Rimane il dubbio, avendo ascoltato alcuni inediti, che il disco avrebbe potuto essere anche migliore.

Voto 8,5