domenica 24 novembre 2019

Gabriella Cilmi- The Water Ep- recensione

Gabriella Cilmi è un'artista di cui abbiamo parlato di frequente, fin dall'esordio nell'ormai lontano 2008, con quello straordinario lavoro che è Lessons to be Learned. Non stiamo quindi a ricordare le sue vicissitudini. Ariviamo quindi al sodo: The Water è il nuovo lavoro della cantautrice italo-australiana, un Ep composto da sole 6 canzoni, che però, nonostante questo, si propone come uno dei dischi più interessanti di questo 2019. Le atmosfere sono decisamente blues, più ancora che soul, ed è decisamente un passo indietro e due avanti rispetto agli ultimi suoi lavori. Uno indietro, perché ritorna alle origini, due passi avanti perché più che ritornare alle sue origini musicali torna alle origini della musica blues e anche rock contemporanea: Bastano i 2 pezzi iniziali, Safe from Harm e Forgiveness, per far capire gli intendimenti di questo lavoro, ovvero blues blues e ancora blues. Poi arriva Ruins, che riporta un poco alle atmosfere pop rock di Lessons, con un suono che sarebbe quasi radiofonico, se le radio non fossero diventate le schifezze che sono diventate. La successiva The Water irrompe con una armonica a bocca ed un ritmo vivace,  disegnando un'atmosfera molto piacevole e rilassata. Keep on Keepin è un'altro brano che odora di wishky, sigarette e aria viziata di un qualche bar del Tennessee, splendidamente interpretato.
Ed infine Get yourself  Together, che è un piacevole incrocio fra blues e pop/rock, con la voce quasi sussurrata di Gabriella che sale nel ritornello in modo piacevole e trascinante.
In definitiva ci troviamo di fronte ad un eccellente lavoro sul piano della quaità, ma soprattutto un lavoro sincero, che rispecchia totalmente la passione e la visione artistica dell'artista, cosa estremamente rara di questi tempi- E difatti non pare che nessuno abbia troppa voglia di parlare di Gabriella Cilmi e di questo splendido lavoro.
Invece noi sì.
voto 9/10 (ma giusto per la scarsa durata, insomma... dai ! ...4 pezzi in più, non si potevano fare?)

venerdì 15 novembre 2019

Dischi: recensione di Jade Bird


Jade Bird è una giovane cantautrice inglese di cui abbiamo già parlato. IL suo disco d'esordio porta il suo nome, il che crea qualche problema er chi voglia recensirlo senza cadere in giochi di parole... Scherzi a parte, il disco è una piacevolissima per quanto tutt'altro che inaspettata sorpresa (quindi non è una sorpresa). Se volete farvi un'idea di che tipo di musica, o se preferiamo che tipo di approccio musicale, segua Jade potete pensare a cantautrici (lo so, non dovrei chiamarle così ma è quello che sono ) come Alanis Morrissette, Avril Lavigne o Sheryl Crow, e probabilmente qualche altra che mi sfugge. Tuttavia la giovanissima inglesina non assomiglia realmente a nessuna di queste (e a nessun'altra), Diciamo che ci sono dei punti in comune, la rabbia della prima Alanis, l'energia frizzante di Avril, ed una notevole completezza musicale (Jade suona chitarra e piano) che fanno ricordare Sheryl, seppure la musica di JAde sia decisamente meno "americana" di quella della Crow.
Il disco alterna pezzi più rabbiosi, di quelli da cantare a squarciagola, pezzi che magari iniziano in modo soffuso per poi esplodere in ritornelli incazzati quanto trascinanti (I get no joy e Love has all been done before sono due esempi di questo approccio) altre canzoni sono un poco (solo un poco) meno arrabbiate, e mixano dolcezza ed energia (in particolare Side Effects, a mio modo uno dei migliori pezzi, Infine altri pezzi sono decisamente più malinconici e calmi. In questa categoria rientrano quelle che io considero le perle del disco, ovvero 17 ( un brano di una bellezza quasi stordente) ed If I Die, ma anche, appena un pizzico sotto, la struggente My motto. L'impressione che si ha ad un primo ascolto è che Jade Bird sia soprattutto una cantante da urlo liberatorio, da schitarrata in sostanza che las sua cifra stilistica rientri nelle canzoni della prima categoria. In realtà ad ascoltarla con più attenzione, ci si rende conto che le cose migliori sono invece rappresentate dalle ballate tristi e malinconiche, siano di pianoforte o accompagnate da una chitarra acustica appena accennata. Per farla breve, siamo di fronte ad  un disco di  esordio di quelli importanti, pressapoco il migliore degli ultimi dieci anni, e sicuramente uno dei migliori dell'anno.
Di più. L'impressione è che siamo al punto iniziale di quella che potrebbe essere una carriera molto molto importante. Ovviamente il condizionale è d'obbligo di questi tempi in  cui il mercato discografico è, sotto molti aspetti, caotico ed inspiegabile, e la critica sembra aver rinunciato del tutto alla sua funzione (se mai l'ha avuta) di segnalazione dei lavori che vale la pena ascoltare.
Chi vivrà...ascolterà...
voto 10/10

venerdì 1 novembre 2019

The Struts Live- Recensione del Concerto al Fabrique di Milano 29 ottobre 2019

Il vostro umile re/censore si è recato a gustarsi il concerto che il gruppo inglese The Struts (vedi recensione del loro ultimo cd qui) ha tenuto al Fabrique di Milano.
Lasciatemi illustrare innanztutto la location dove si è tenuto il concerto. Il Fabrique è uno dei tanti luoghi "dismessi" e poi riadattati che popolano quella ex.citta industriale che viene chiamata Milano.
Ovviamente come molti di questi posti è un luogo piuttosto squallido (ma potrebbe essere peggio) per lo più destinato al transito di automezzi pesanti se non pesantissimi (diversi Corrieri Espressi o Ritardati hanno la loro dimora da codeste parti). Non è la prima volta che vado a vedere un concerto al Fabrique, quindi questo non è per me  una sorpresa, però questa volta il posizionamento del locale mi è parso più fastidioso delle altre volte e spiego il perché. Premesso che sono piuttosto comodo per arrivarci (imbocco la tangenziale alla Gobba e alla quarta o quinta uscita esco, insomma questione di un quarto d'ora e giusto perché sono una lumaca come autista altrimenti sarebbe meno) però vi sono alcuni problemi che emergono. Per trovare un parcheggio bisogna schivare i posteggiatori abusivi che ti vendono posti auto alla modica cifra di € 5 o 3 che comunque sia è un furto. Si può trovare un parcheggio gratuito su Via Mecenate, ma l'ho trovato almeno a 500/600 metri di distanza dal Fabrique. Quindi, una volta posteggiato, mi sono diretto verso l'edificio. Avevo capito che c'era più gente di quanto avessi previsto già solo per il fatto che non si trovava posto auto. Ma ecco che davanti al Fabrique vedo con mia sorpresa che c'è la fila per entrare, nonostante ormai siano quasi le 20.30 ed i cancellli sono stati aperti alle 19.00. Mi incammino seguendo una mamma molto fashion con figlia piccola anche lei molto fashion per arrivare all'inzio della coda. Ma questa non inizia 10 metri più in là, e nemmeno 20 e nemmeno 30...insomma arrivo fino al primo angolo e penso "vabbé c'è un po' di coda ma non è così terribile..." ma subito capisco che ho pensato male. La mamma fashion si ferma e dice alla figlia, "ma cosa vuoi che dicano ad una bambina piccola? ti faranno passare". Giusto e molto italiano, ancorché fashion, Mi ricorda i Mostri di Monicelli. Alla bambina non dicono niente, alla mamma magari che è una gran stronza, che dite? In ogni caso non sono una bambina piccola e nemmeno la mamma fashion  stronza per cui mi rassegno a proseguire per la via che fa da angolo, e cammino cammino e incomincio a pensare "quasi me ne torno a casa", ma anche no, ho il biglietto e a meno di non trasformarmi in bagarino è meglio proseguire. Finalmente arrivo alla fine di questa interminabile fila (che sarà in tutto penso almeno 150 metri) . Calcolo che tutto sommato in mezz'ora dovrei farcela ad entrare. Però quella via è veramente squallida ed è piena di Tir giganteschi che, seppure a passo d'uomo, ci sfiorano, e quindi penso di mettermi in salvo sul marciapiede. Allora dico ai due tizi dopo di me: "Certo che non ci facciamo mancare niente stasera, compresi i camion che cercano di investirci. " Uno dei due ride, l'altro no perché dev'essere uno di quelli troppo seri per ridere della battute del primo pirla che passa per strada (che sarei io, nella circostanza).
Faccio la mia paziente fila e ad un certo punto quando ormai sono quasi le 21.00 (The Struts dovrebbero iniziare alle 21.15) pensano di darsi una mossa e di separare quelli con già il biglietto da quelli che fanno la fila per comprarlo (Premio Darwin agli organizzatori del Fabrique, dopo l'invenzione della ruota e dello stuzzicadenti direi che questa è veramente un colpo di genio, ma quando cazzo mai si fa una unica fila? Come direbbero a Bolzano "malimort.....) Finalmente entro, evito il guardaroba(altri € 5) la birra fredda, vado alla toilette e mi posiziono astutamente nella zona centrale, dove ci sono alcuni scalini e gente della mia età, insomma posso vedere bene senza gente che mi salta sui calli.
Alle nove e mezzo minuto più o meno quando tutti i ritardatari ed i ritardati sono entrati, ecco che entrano gli Struts. Attaccano subito con Primadonna Like me, che è palesemente il manifesto poetico e la dichiarazione di intento del gruppo, e soprattutto del leader, come si vedrà per tutto il concerto.
Poi fanno  Body Talks, Kiss This e In Love with a Camera, e a quel punto mi chiedo" e cosa fanno adesso? hanno fatto le migliori, fanno i bis e se ne vanno?" In realtà il concerto è appena iniziato e prosegue con Fire, One night Only e via via ripercorrendo i loro due album . Fin dalle prime note si nota come la band sia una band vera, che sa stare sul palco, non sono musicisti geniali, scoprono più o meno l'acqua calda, ma sono molto solidi e  conoscono (soprattutto il cantante Luke) tutti i trucchetti del "vero rock"(compreso il "solo di chitarra" che sinceramente ho trovato un poco noioso) per ammaliare, trascinare e sedurre il pubblico, peraltro molto ben disposto a farsi ammaliare. Il repertorio non è vastissimo, e non sempre di qualità, ma loro scelgono il meglio e lo mixano con alcune cover, fra cui si segnala Dancing in the street, vecchissimo hit di Martha and the Vandellas, già coverizzato dalla coppia David Bowie-Mick Jagger nei favolosi anni 80'.
Come si è capito, Luke, il cantante è veramente quello che viene definito un animale da palcoscenico. Le sue movenze sono molto teatrali, il suo modo di stare sul palco è un mix fra il già citato Mick Jagger, Freddie Mercury e Robert Plant (e probabilmente altri 3 o 4 che non sto a citare) ma certo è efficace. Usa tutti i trucchi del mestiere per coinvolgere il pubblico, "e adesso alzate le mani, e adesso cantate con me, e adesso state seduti e adesso ballate" etc etc, insomma fa fare a tremila persone quel cazzo che vuole lui, e se non lo fai, ti senti un attimino una merda, giusto il tempo per capire che in fondo "it's only rock'n roll but I like it". Infine ringrazia il pubblico ricordando che pochi mesi fa a Milano ai Magazzini generali c'erano 700 persone e adesso ce ne sono più di "3 thousands fucking people" ad idolatrarli, cosa che deve riempire il suo ego di orgoglio narcisistico. Poi arrivano i "bis" dopo la solita pausa e si finisce con Somebody New, suonata e cantata al pianoforte da Luke (che, detto per inciso, sotto alle giacche sgargianti e alla teatralità istrionica il talento e la preparazione ce l'ha, eccome) seguita da Ashes e Could have been me per il gran finale dopo  quasi un'ora e tre quarti di concerto.
In definitiva un bel concerto, divertente, peccato per l'acustica a mio modo di vedere e sentire non ottimale, però, al di là dei limiti e dei difetti della loro proposta musicale, The Struts confermano le voci che li segnalano come una delle band da seguire Live, e credo che, chissà, magari la prossima volta ci saranno anche più di tremila persone a sentirli.



venerdì 25 ottobre 2019

The Struts: Young and Dangerous

Young and Dangerous è il secondo disco della band neo-glam The Struts. Devoti della musica glam rock e rock dei primi anni 70 gli inglesi The Struts denunciano le loro ascendenze musicali fin dai video e dal look esageratamente demodé. Questo secondo lavoro inizia con i fuochi d'artificio. I primi tre brani dell'album, difatti sono una vera scarica di energia e di adrenalina, fatta di tutto quel che fa(ceva) di un brano rock un brano rock ovvero energia, divertimento, riff assassini, voce potente e assoli messi al punto giusto, in aggiunta ad una forte sezione ritmica: Body Talks, In love with a Camera e, soprattutto,  Primadonna like Me accontentano tutte queste condizioni, ed aggiungiamoci anche i testi. che sprizzano narcisismo e vanità da tutte le parti. Forse il gruppo ha giocato tutte le sue migliori carte in questo inizio, per cui il resto del disco non pare sempre essere all'altezza, i pezzi sono tutti gradevoli, ma pochi si segnalano  particolarmente fra questi : Who I am? è un brano con chiari riferimenti al Funky e si stacca un poco dal resto: Fire è un brano piuttosto movimentato, con una classica struttura, ed un ritornello di quelli che ti fanno cantare, Somebody New è un brano dalle atmosfere più solenni ed un tocco di liricismo in più.  Non c'è molto da segnalare fino all'ultimo brano Ashes part 2 , dove, se l'omaggio alla maggiore fonte di ispirazione dei quattro, ovvero i Queen, è evidente, non si può negare dall'altro lato nemmeno l'efficacia e la bellezza del brano.
C'è ancora spazio per una piccola sorpresa ovvero Body Talks con la presenza della pop star Kesha, che si è diretta verso lidi musicali più rock dopo gli inizi decisamente leggerini. Questo duetto peraltro rende ancora più chiaro quella impressione che si ha durante tutto l'ascolto dell'album, ovver che i The Struts, pur rifacendosi a modelli rock, siano decisamente più pop di quanto loro stessi non vogliano confessare. Che poi è esattamente la stessa cosa che succedeva per i Queen a loro tempo, e che spiega il perdurare del loro successo a così tanti anni di distanza ed in un periodo in cui il rock vero, diciamo la verità, non va un granché di moda.
Tornando a Young and Dangerous è n definitiva un buon album, ma di certo non una pietra miliare. Tuttavia sarà interessante seguirli nella loro unica data italiana il 29 ottobre al Fabrique di Milano, per tastare il loro valore come gruppo Live.
8/10

domenica 13 ottobre 2019

Dane Birch: in it for the race

Tra i vari ritorni di questo periodo si segnala quello di Diane Birch, che si segnalò ormai 10 anni fa per l'interessante Bible Belt trascinato da brani qual Fools e Nothin but a Miracle. A questo seguì l'altrettanto interessante Speak a little louder.
 Succesivamente Diane, che sembrava destinata al ruolo di star, decise di proseguire come indipendente, una scelta coraggiosa ma difficile, e come spesso accade è rimasta un po' ai margini, nonostante l'ottimo "Nous" un Ep uscito solo 3 anni fa composto da 7 canzoni di grande intensità, son un approccio musicale quasi sperimentale (ma potremmo togliere il quasi).
E' quindi una piacevole sorpresa tornare a risentirla con il nuovo singolo (si dice ancora così?)
In it for the race, un brano che ci riporta verso quel tipo di sonorità che avevamo apprezzato soprattutto all'inizio della carriera musicale di questa straordinaria artista.
Non resta altro che aprire i padiglioni auricolari e godersi la musica.



giovedì 10 ottobre 2019

Salvati dal passato: Nena 99 luftballons


99 palloncini, cantava la giovanissima rocker tedesca Nena in pieni anni 80'. Una canzone che passava da toni dolci a momenti aggressivi e memorabili, intervallati anche da qualche intermezzo non propriamente riuscitissimo, e che ebbe uno straordinario successo ben oltre i confini tedeschi.. Nella versione inglese raggiunse addirittura la numero uno per tre settimane, e vendette centinaia di migliaia di copie negli USA persino nella versione originale tedesca, arrivando al disco di Platino.
La cosa straordinaria, e che molti ignoravano ed ancora ignorano, è che il tema di questa canzone non è una serata allegra al Luna Park, ma è in realtà la guerra atomica fra superpotenze. In effetti nella canzone si ipotizza che 99 palloncini, scambiati per armi segrete, diventavano il pretesto e la causa per un conflitto nucleare a causa delle improvvide decisioni di generali e politici
"99 ministri di guerra
Fiammifero e benzina
Pensavo fosse gente furba
Che già fiutavano un lauto bottino
Gridarono: GUERRA! e vollero potere
Uomo, avresti pensato
che saresti arrivato fino a questo punto
A causa di 99 palloncini" 


urla Nena nell'apice del ritornello

La musica si quieta prima di chiudersi su una nota decisamente malinconica

99 anni di guerra
Non lasciano posto per i vincitori
Non ci sono più ministri
né jet
Oggi mi faccio i fatti miei
Vedo il mondo  giacere in rovina
Ho trovato un palloncino
Penso a te e lo lascio volar via.

La canzone venne composta in un periodo di forti tensioni fra Est ed Ovest, caratterizzato dal dispiegamento di armi nucleari da entrambi i fronti. No si era mai stati così vicini ad un tragico conflitto nucleare che avrebbe realmente potuto cusare la distruzione del mondo. Per fortuna poi arrivò Gorbatchov, ma questa è un'altra storia (forse)

sabato 27 luglio 2019

I fell in Love with the Devil: i significati del nuovo video di Avril Lavigne

 Sicuramente I fell in Love with the Devil è uno dei pezzi più significativi dell'ulitmo disco di Avril Lavigne Head Above Water. Giustamente scelto come secondo (o terzo) singolo del disco, è accompagnato da un video che si segnala per la bellezza e ricercatezza delle immagini.
Ma c'è ben di più di qualche bella immagine patinata, e bastano pochissime visualizzazioni per capirlo, ma analizzare il video è molto più complesso, tuttavia è uno sforzo che può essere utile per una comprensione maggiore del video e per una sua valutazione più completa.
La canzone è preceduta da una intro che non c'è nel CD e riprende il bridge creando da subito una atmosfera sognante e dark al contempo. Le immagini iniziali mostrano una macchina nera di quelle usate dalle imprese funebri. Il conducente della macchina non è altri che Avril stessa vestita in modo molto elegante, quasi da vecchia signora.  La telecamera indugia su vari particolari, spesso correlati al testo. "reckless motions" corrisponde ad alcune immagini rallentate (che è precisamente il significato della frase), L'automobile passa su fogli di lettere che si sollevano prima di ricadere quando Avril canta "Orsacchiotti e lettere di scuse non sembrano rendere le cose migliori". Dopo un minuto circa vediamo cosa trasporta realmente l'automobile: si intravede una bara, ma ancora non sappiamo chi o cosa ci sia in essa. Dobbiamo aspettare il ritornello per scoprire che nella bara non c'è altri che Avril stessa, vestita di bianco. Quindi Avril sta seppellendo una parte di se stessa. Il vestito bianco intonato ai fiori della stesso colore stanno ad indicare l'innocenza di Avril stessa. "Mi sono innamorata del Diavolo, qualcuno mi salvi da questo inferno" Come specificato da Avril stessa si tratta di un simbolismo per indicare una relazione andata a male con una persona egoista e crudele,"il diavolo" del testo, per l'appunto.
Dopo il ritornello il video cambia prima ancora che di ambientazione, di vestiti. Ecco che vediamo Avril vestita con uno splendido vestito rosso, che non può altro che rappresentare la passione per questa persona che l'ha trascinata così in basso. Proseguendo nel video vediamo questa persona, "il diavolo" che ha fatto soffrire la cantautrice di Toronto, con il quale Avril intreccia una sorta di balletto molto sensuale. Tuttavia vediamo un altro personaggio, ovvero una quarta rappresentazione di Avril. ed è una trasposizione ancora più dark delle precedenti.
Avril è difatti interamente vestita di nero, quasi come una suora, e porta con sé un enorme crocifisso.
Ho fatto francamente fatica a capire quest'ultima rappresentazione e difatti l'ho trovata un poco ridondante. Credo però che il nero rappresenti la morte, o ancora il senso di colpa. Il crocifisso può essere uno strumento adatto a tenere lontano il Diavolo, e quindi la tentazione di ricadere in quella relazione tossica di cui ha parlato Avril nelle interviste.
Dopo il terzo minuto la canzone si interrompe (altra differenza con la versione del Cd) e si sentono come dei battiti di cuore, si rivedono un po' tutti i personaggi, o meglio le interpretazioni di Avril, tenendo lo spettatore col fiato sospeso su quale possa essere la risoluzione finale.
Il montaggio finale molto serrato non rende chiarissimo il dipanarsi degli avvenimenti, ma in sostanza la Avril- becchina rompe la bara dove è prigioniera, ma non ancora sepolta la Avril-innocente,.
Mentre la Avril vestita di rosso suona il pianoforte in una atmosfera sempre più da tregenda, vediamo come il Diavolo tentatore e la Avril nera si allontanino e svaniscano. Le ultime immagini ci mostrano Avril allontanarsi in controluce, ormai libera dalla relazione e dai suoi sensi di colpa, di nuovo in controllo delle proprie emozioni e dei propri sentimenti oramai liberati.
Un video sicuramente molto bello e fra i migliori che abbia mai visto, seppure in alcuni momenti mi pare che forse sia stata messa troppa carne al fuoco (infernale...). Dopo tante banalità che dobbiamo sorbirci un video così è veramente una boccata d'aria fresca, e fa anche piacere che sia una artista come Avril Lavigne a proporcelo, ovvero una ormai lontana dal grande giro ma che, forse anche per questo, riesce a proporre sempre (o quasi) qualcosa di interessante e non banale.
Spero solo che questo video abbia i riconoscimenti che certamente merita.

domenica 14 luglio 2019

Sum 41 Never there

Il gruppo canadese dei SUM41 è da tempo fra i migliori esponenti di quel genere che è stato definito Punk-Pop, ma direi che è fra i migliori gruppi rock in circolazione, come posso testimoniare avendoli visti dal vivo. In particolare gli ultmi 2 dischi  Screaming Bloody Murder e 13 Voices sono due veri monumenti alla musica rock-punk contemporanea. 
Ora tornano con varie canzoni che precedono il nuovo Order in decline, in uscita il 19 luglio, di cui avremo modo di parlare in futuro.
Il brano a mio avviso più coinvolgente fra quelli anticipati è questo "Never There",  una lunga ballata nella migliore tradizione del gruppo canadese.



lunedì 8 luglio 2019

Gabriella Cilmi Nuovo singolo

Correva l'anno 2008 ed una piccola e giovanissima australiana di origini italiane cantava una canzone dall'irresistibile ritornello che  recitava "Nothing Sweet about me ". Quella ragazza si chiamava Gabriella Cilmi, e arrivò in cima alle classifiche dei più importanti paesi con quella canzone e l'album che la conteneva, Lessons to be learned.
Quello stesso anno Gabriella trionfò agli ARIA, i premi discografici australiani, aggiudicandosi ben 5 premi. Due anni più tardi ci riprovava con Ten, un Cd che la mostrava con una nuova veste musicale, passando dal soul tinto di rock e blues del fortunato esordio ad una musica decisamente più pop e dance. Seppure il cd non fosse scadente, di certo deludeva le aspettative di chi pensava di aver trovato l'erede di Janis Joplin, a cui Gabriella si ispirava non troppo lontanamente. I risultati commerciali furono anche peggiori di quelli artistici. Poi la scelta di tagliare i ponti con la casa discografica, cercando una nuova purezza e spontaneità con un album, The Sting autoprodotto e senza i troppi compromessi  precedenti. I risultati artistici furono interessanti ma discontinui, e senza l'appoggio di una casa discografica il lavoro non ebbe il successo che meritava. Dopo un periodo con il gruppo fondato dal fratello ,gli All kings and Queen, ecco che Gabriella ci riprova con un nuovo (per ora) singolo, intitolato Ruins, he torna alle atmosfere di Lessons: soul emotivo e trascinante, sottolineato ed avvalorato da una voce che ha guadagnato con gli anni maturità.
Forse il successo di un tempo è irripetibile, ma questo brano merita davvero (più di) un ascolto.
Garantito.


domenica 7 luglio 2019

Islandesi di ritorno: Of monsters and Men

Of Monsters and Men è il nome di un gruppo alternative-indie islandese, che aveva ottimamente impressionato con il disco d'esordio My head is an animal. 
Un poco spariti negli  anni successivi eccoli di nuovo in ottima forma con questa Alligator (evidentemente hanno una predilezione per gli animali) che li vede in una veste decisamente più rock rispetto ai lavori precedenti, ma sempre con il loro sound particolare che crea atmosfere uniche ed eccitanti come pochi sanno fare.

domenica 12 maggio 2019

Nuove voci: Jade Bird

Prendete Avril Lavigne, mixate con Alanis Morrisette, aggiungete un goccio (o forse due) di Sheryl Crow, ed ecco che otterrete Jade Bird. giovanissima promessa della musica rock (o Pop-rock, se siete degli inguaribili puristi).
Nata ad Hexham il 1 ottobre del 1997, la giovane Bird ha imparato fin da bambina a suonare piano e poi chitarra, ha esordito con una serie di singoli (illustrati da relativi video) e ha fatto uscire un cd che porta semplicemente il suo nome.
Per capire la musica che fa ed il suo talento basta vedere i suoi video ed ascoltare le sue canzoni. Si parla molto di varie cantanti ma secondo me, nessuna mostra il talento e l'energia autentica della giovane inglese


martedì 9 aprile 2019

The Beaches: le nuove eroine dell'alternative Canadese

The Beaches sono un gruppo proveniente da Toronto, capitale dell'Ontario.
Le quattro ragazze si presentano con una classica formazione a quattro: batteria (Eliza Enman-McDaniel) chitarra (Kylie Miller) chitarra e tastiere (Leandra Earl) basso e voce (Jordan Miller).
Classica ma non troppo perché è effettivamente inusuale che la bassista canti, ma dal momento che a noi le bassiste ci sono sempre piaciute e troviamo sommamente ingiusto che la bassista sia sempre considerata l'ultima ruota del carro, ecco che no può non farci piacere una inversione di tendenza.
A parte questo il gruppo si caratterizza per una musica frizzante, energetica, che sa unire alcune asperità del rock e del punk con una leggerezza pop molto anni 60, senza tuttavia scadere nel già sentito. Insomma non sono delle semplici imitatrici di gruppi anni 60 o che si rifacevano agli anni 60 come Go Go's o Bangles.
Dopo un paio di Ep hanno esordito nel 2017 con l'album Late Show, e ora questo nuovo singolo Snake Tongue dovrebbe essere l'apripista per un nuovo lavoro. E suona dannatamente bene!


domenica 10 marzo 2019

City of the weak: il ritorno del Pop/Punk

City of the weak è una giovanissima band che si inserisce in quel filone chiamato Pop-Punk, e che ha visto i suoi momneti migliori nel decennio precedente, Il gruppo originario della citta di Minneapolis, già entrata nella storia del punk/hardcore per gruppi come gli storici Husker Du, è formata da tre elementi, La cantante, che porta il curioso nome d'arte di Stef with an F, il chitarrista Brent ed il bassista Cody, non avendo quindi un batterista fisso.  Il loro esordio discografico è stato l'Ep White Fire Alarm del 2013, seguito l'anno successivo dal secondo Ep Disclosure. IL loro esordio discografico "vero" ovvero come Cd completo è del giugno 2018, con l'album Pulling teeth.
La loromusica è veloce, frizzante, dura e melodica al tempo, però a differenza di altri gruppo del genere non è affatto monotona, avendo il gruppo fin dalle prime registrazioni, provato altre vie, per cui ai pezzi in puro stile punk si affiancano pezzi maggiormente costruiti. Diciamo che, per coloro che rimpiangono i primi Paramore, o per chi segue i Tonight Alive questo gruppo può essere un buon palliativo/sostituto. Anzi, andrebbe riconosciuto il fatto che, rispetto ai primi dischi delle band citate i primi lavori diei COFW sembrano già più maturi.
Va detto che Stef with an F ha un certo carisma ed energia ma non appare dotata di una voce varia e valida come le varie Hayley e Jenna, risultando alle volte un po' nasale, però se la cava tutto sommato bene e ha margini di miglioramento.


sabato 9 marzo 2019

Sarah Packiam- She's a Riot

In occasione della FEsta Internazionale della Donna esce il nuovo video di Sarah Packiam, talentuosissima cantautrice rock irlandese (ma residente in FLorida).
Una canzone completamente rock, con un gran riff di chitarra che rimane impresso al primo ascolto
Magari l'elenco delle grandi donne visualizzato nel video non sempre è condivisibile. io faccio per esempio fatica ad accettare la Tatcher, mentre non ho nulla da dire su Janis Joplin e Danerys Targarian del Trono di Spade. Questioni soggettive :-D




sabato 23 febbraio 2019

Recensioni: Avril Lavigne Head Above Water


Dopo un lungo periodo di assenza discografica sulle cui ragioni non mi dilungo poiché sono abbondantemente conosciute, Avril ha pubblicato il suo sesto lavoro, forse il lavoro più ambizioso della sua carriera, un lavoro profondamente diverso da quanto la cantautrice canadese aveva proposto fino ad ora, ed in cui il processo di maturazione iniziato da Goodbye lullaby, e parzialmente interrotto dall’incerto Self titled (che era un mix di vecchio e nuovo senza una precisa direzione) raggiunge il suo apice.
Analizziamo il cd quindi track by track

HEAD ABOVE WATER
Il Cd inizia con la title track. Un pezzo già uscito come singolo e caratterizzato da una musica solenne Al piano si uniscono gli altri strumenti dalla chitarra alla batteria ai violini.
Il testo racconta il dramma della malattia che la cantautrice di Toronto ha dovuto affrontare e la sua lotta per uscirne,
“La Mia vita  è la cosa per cui sto lottando” proclama drammaticamente Avril in riferimento alla malattia che l’ha colpitail testo diventa una invocazione nel ritornello, quanto mai struggente,
- Dio tieni la mia testa fuori dall’acqua, perdo il mio fiato quando sono sotto
vieni a salvarmi
Aspetterò sono troppo giovane per addormentarmi.-
Non lasciare che affoghi”

la parte finale diventa più rock, ma tutto il pezzo ha una forza difficilmente risContrabile nella musica attuale. 
BIRDIE
la canzone inizia con delle note di piano, appena accennate. Anche questo è un pezzo drammatico in cui Avril si paragona ad un uccellino rinchiuso in una gabbia, metafora di una relazione chiusa e frustrante, ma forse riferita anche ai suoi problemi di salute
La voce di Avril raggiunge momenti altissime di coinvolgimento, e l’accompagnamento musicale, caratterizzato da una forte batteria, aggiunge ulteriore forza. Un brano molto bello anche questo che cresce con gli ascolti 
I FELL IN LOVE WITH THE DEVIL
Dopo un inizio così forte si potrebbe pensare a qualcosa di più leggero, ed invece no, perché la terza traccia è uno dei pezzi più complessi musicalmente che sia stata partorito dalla mente di Avril. il brano viene introdotto da un solenne strumentale di violini prima dell’inizio del brano vero e proprio . Ancora un volta la voce di Avril la fa da padrona, su un accompagnamento musicale, tanto (apparentemente) scarno quanto efficace
Mi sono innamorata del diavolo e ora son  nei guai, mi sono innamorata del diavolo sono sotto il suo incantesimo” ovviamente non si riferisce al diavolo ma anche in questo caso ad una relazione sentimentale non felice
Il pezzo procede sempre più drammatico, anche qui un pezzo che fa sentire i brividi lungo la schiena, un arrangiamento incredibile, che crea atmosfera al tempo cupe e sognanti 
TELL ME IT’S OVER
 Finalmente un attimo di tregua sul piano emotivo, ma anche con questo brano Avril ci sorprende con un pezzo soul anni 50 che sembra uscito dalla discografia di Ella Fitzgerald. un brano estratto com secondo singolo e passato ingiustamente inosservato, poiché se certo non c’è l’innovazione dei brani precedenti, non si può no riconoscere la grande gradevolezza del brano in questione. Ed anche Qui voce e arrangiamento sono a livelli altissimi 
DUMB BLONDE
Questo è l’unico brano che si può definire, più o meno, un brano alla Avril Lavigne.
In realtà anche qui ci sono molte novità rispetto a brani come Girlfriend o la “famigerata” Hello Kitty, Il brano inizia con una rappata su una specie di marcetta militare, la strofa ricorda un po’ Walk like an egiptian delle Bangles, per poi diventare vagamente rock, e poi riesplodere in un potente ritornello a metà fra il rap ed il rock. Il testo prende in giro gli stereotipi maschilisti sulle bionde sceme di cui Avril è stata vittima e si riferisce in particolare a qualche fidanzato o forse discografico che l’ha sottovalutata. Qualcuno ha detto che la canzone usa gli stereotipi che contesta, ma è proprio questa la sua forza! mai sentito parlare di “effetto spiazzamento” Ironia etc etc? Il pezzo è divertente ma certo non è a livello del resto dell’album diciamo che è una allegra scampagnata dopo una settimana di dura lotta. Ci sta bene insomma 
IT WAS IN ME
  Questa canzone è indubbiamente uno dei vertici espressivi dell’album, un pezzo che si ricollega alla famosa I’m With you del primo album Let go, e ne è quasi un completamento. Se all’epoca Avril era una giovanissima ragazza che cercava  qualcuno che la sostenesse e  non la facesse sentire sola e sperduta ora Avril è una donna adulta che ha trovato dentro di sé la forza per resistere
“Ora lascia che mi senta ubriaca anche se sono sobria. lascia che mi senta giovane anche se sono più vecchia, lascia che mi senta orgogliosa anche se è finita, Alla fine ho capito che per tutto questo tempo era dentro di me, del tutto dentro di me” Anche la musica ricorda vagamente i tempi del primo album, ma con arrangiamenti ancora una volta maestosi. E ancora una volta la voce di Avril è semplicemente meravigliosa
SOUVENIR
Anche questo è un pezzo che ricorda un poco la Avril degli esordi, ma forse ha più somiglianze con un’altra eccellenza musicale canadese, ovvero Alanis Morrissette, da sempre riferimento per Avril. Potrebbe anche ricordare alcuni pezzi del precedente Self TItled, ma è molto più convincente di questi
 CRUSH
E di nuovo con questo pezzo abbiamo una Avril  in versione Soul con risultati addirittura superiori alla pur ottima Tell me it’s over. pezzo perfetto nulla da aggiungere
GODDESS
La chitarra  acustica è la protagonista di questa canzone, dai toni lievi, dove, dopo tanti acuti, Avril torna su tonalità più basse, per poi risvegliarsi nel ritornello. Un brano carino e rilassante dopo tante emozioni ci sta.
BIGGER WOW
Anche questa è una canzone rilassante, probabilmente il brano più pop del disco, orecchiabile, facile ma di certo non semplicistica, poiché voce e arrangiamento sono ancora  a livelli di eccellenza, il testo è dedicato ad una relazione questa volta felice.
LOVE ME INSANE
Questo brano è di nuovo ispirato ad atmosfere tra il soul ed il jazz, caratterizzato da un contrabbasso (cosa insolita per l’attuale mondo pop ) a cui si aggiunge l’orchestrazione. Il groove della canzone cresce man mano creando ancora una volta delle atmosfere magiche. Ancora una volta Avril fa centro anche con questo pezzo.
WARRIOR
Qui, dopo qualche brano più rilassato, le atmosfere tornano a farsi drammatiche.
Warrior è, difatti, un’altra canzone di forza, di sentimento, dove la voglia di riscatto dalle sofferenze della malattia, ma in generale dalle difficoltà della vita costruiscono un pezzo epico, dalla grande forza emotiva.
“ come un vichingo combatterò attraverso il giorno e la notte- marcerò nell’oscurità fino a che arriverà la luce del giorno”
“perché sono una guerriera, combatto per la mia vita, come un soldato per tutta la notte, e non cederò, sopravviverò”.

Una ballata possente, ben sostenuta dalla batteria, che conclude in modo degno un grande disco, che ci fa ritrovare una delle voci più importanti del pop degli ultimi venti anni. E anche se la parola è inflazionata, si può in questo caso usarla senza troppi problemi per definire questo album.
Capolavoro.
10/10