venerdì 15 novembre 2019

Dischi: recensione di Jade Bird


Jade Bird è una giovane cantautrice inglese di cui abbiamo già parlato. IL suo disco d'esordio porta il suo nome, il che crea qualche problema er chi voglia recensirlo senza cadere in giochi di parole... Scherzi a parte, il disco è una piacevolissima per quanto tutt'altro che inaspettata sorpresa (quindi non è una sorpresa). Se volete farvi un'idea di che tipo di musica, o se preferiamo che tipo di approccio musicale, segua Jade potete pensare a cantautrici (lo so, non dovrei chiamarle così ma è quello che sono ) come Alanis Morrissette, Avril Lavigne o Sheryl Crow, e probabilmente qualche altra che mi sfugge. Tuttavia la giovanissima inglesina non assomiglia realmente a nessuna di queste (e a nessun'altra), Diciamo che ci sono dei punti in comune, la rabbia della prima Alanis, l'energia frizzante di Avril, ed una notevole completezza musicale (Jade suona chitarra e piano) che fanno ricordare Sheryl, seppure la musica di JAde sia decisamente meno "americana" di quella della Crow.
Il disco alterna pezzi più rabbiosi, di quelli da cantare a squarciagola, pezzi che magari iniziano in modo soffuso per poi esplodere in ritornelli incazzati quanto trascinanti (I get no joy e Love has all been done before sono due esempi di questo approccio) altre canzoni sono un poco (solo un poco) meno arrabbiate, e mixano dolcezza ed energia (in particolare Side Effects, a mio modo uno dei migliori pezzi, Infine altri pezzi sono decisamente più malinconici e calmi. In questa categoria rientrano quelle che io considero le perle del disco, ovvero 17 ( un brano di una bellezza quasi stordente) ed If I Die, ma anche, appena un pizzico sotto, la struggente My motto. L'impressione che si ha ad un primo ascolto è che Jade Bird sia soprattutto una cantante da urlo liberatorio, da schitarrata in sostanza che las sua cifra stilistica rientri nelle canzoni della prima categoria. In realtà ad ascoltarla con più attenzione, ci si rende conto che le cose migliori sono invece rappresentate dalle ballate tristi e malinconiche, siano di pianoforte o accompagnate da una chitarra acustica appena accennata. Per farla breve, siamo di fronte ad  un disco di  esordio di quelli importanti, pressapoco il migliore degli ultimi dieci anni, e sicuramente uno dei migliori dell'anno.
Di più. L'impressione è che siamo al punto iniziale di quella che potrebbe essere una carriera molto molto importante. Ovviamente il condizionale è d'obbligo di questi tempi in  cui il mercato discografico è, sotto molti aspetti, caotico ed inspiegabile, e la critica sembra aver rinunciato del tutto alla sua funzione (se mai l'ha avuta) di segnalazione dei lavori che vale la pena ascoltare.
Chi vivrà...ascolterà...
voto 10/10

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