domenica 24 novembre 2019

Gabriella Cilmi- The Water Ep- recensione

Gabriella Cilmi è un'artista di cui abbiamo parlato di frequente, fin dall'esordio nell'ormai lontano 2008, con quello straordinario lavoro che è Lessons to be Learned. Non stiamo quindi a ricordare le sue vicissitudini. Ariviamo quindi al sodo: The Water è il nuovo lavoro della cantautrice italo-australiana, un Ep composto da sole 6 canzoni, che però, nonostante questo, si propone come uno dei dischi più interessanti di questo 2019. Le atmosfere sono decisamente blues, più ancora che soul, ed è decisamente un passo indietro e due avanti rispetto agli ultimi suoi lavori. Uno indietro, perché ritorna alle origini, due passi avanti perché più che ritornare alle sue origini musicali torna alle origini della musica blues e anche rock contemporanea: Bastano i 2 pezzi iniziali, Safe from Harm e Forgiveness, per far capire gli intendimenti di questo lavoro, ovvero blues blues e ancora blues. Poi arriva Ruins, che riporta un poco alle atmosfere pop rock di Lessons, con un suono che sarebbe quasi radiofonico, se le radio non fossero diventate le schifezze che sono diventate. La successiva The Water irrompe con una armonica a bocca ed un ritmo vivace,  disegnando un'atmosfera molto piacevole e rilassata. Keep on Keepin è un'altro brano che odora di wishky, sigarette e aria viziata di un qualche bar del Tennessee, splendidamente interpretato.
Ed infine Get yourself  Together, che è un piacevole incrocio fra blues e pop/rock, con la voce quasi sussurrata di Gabriella che sale nel ritornello in modo piacevole e trascinante.
In definitiva ci troviamo di fronte ad un eccellente lavoro sul piano della quaità, ma soprattutto un lavoro sincero, che rispecchia totalmente la passione e la visione artistica dell'artista, cosa estremamente rara di questi tempi- E difatti non pare che nessuno abbia troppa voglia di parlare di Gabriella Cilmi e di questo splendido lavoro.
Invece noi sì.
voto 9/10 (ma giusto per la scarsa durata, insomma... dai ! ...4 pezzi in più, non si potevano fare?)

venerdì 15 novembre 2019

Dischi: recensione di Jade Bird


Jade Bird è una giovane cantautrice inglese di cui abbiamo già parlato. IL suo disco d'esordio porta il suo nome, il che crea qualche problema er chi voglia recensirlo senza cadere in giochi di parole... Scherzi a parte, il disco è una piacevolissima per quanto tutt'altro che inaspettata sorpresa (quindi non è una sorpresa). Se volete farvi un'idea di che tipo di musica, o se preferiamo che tipo di approccio musicale, segua Jade potete pensare a cantautrici (lo so, non dovrei chiamarle così ma è quello che sono ) come Alanis Morrissette, Avril Lavigne o Sheryl Crow, e probabilmente qualche altra che mi sfugge. Tuttavia la giovanissima inglesina non assomiglia realmente a nessuna di queste (e a nessun'altra), Diciamo che ci sono dei punti in comune, la rabbia della prima Alanis, l'energia frizzante di Avril, ed una notevole completezza musicale (Jade suona chitarra e piano) che fanno ricordare Sheryl, seppure la musica di JAde sia decisamente meno "americana" di quella della Crow.
Il disco alterna pezzi più rabbiosi, di quelli da cantare a squarciagola, pezzi che magari iniziano in modo soffuso per poi esplodere in ritornelli incazzati quanto trascinanti (I get no joy e Love has all been done before sono due esempi di questo approccio) altre canzoni sono un poco (solo un poco) meno arrabbiate, e mixano dolcezza ed energia (in particolare Side Effects, a mio modo uno dei migliori pezzi, Infine altri pezzi sono decisamente più malinconici e calmi. In questa categoria rientrano quelle che io considero le perle del disco, ovvero 17 ( un brano di una bellezza quasi stordente) ed If I Die, ma anche, appena un pizzico sotto, la struggente My motto. L'impressione che si ha ad un primo ascolto è che Jade Bird sia soprattutto una cantante da urlo liberatorio, da schitarrata in sostanza che las sua cifra stilistica rientri nelle canzoni della prima categoria. In realtà ad ascoltarla con più attenzione, ci si rende conto che le cose migliori sono invece rappresentate dalle ballate tristi e malinconiche, siano di pianoforte o accompagnate da una chitarra acustica appena accennata. Per farla breve, siamo di fronte ad  un disco di  esordio di quelli importanti, pressapoco il migliore degli ultimi dieci anni, e sicuramente uno dei migliori dell'anno.
Di più. L'impressione è che siamo al punto iniziale di quella che potrebbe essere una carriera molto molto importante. Ovviamente il condizionale è d'obbligo di questi tempi in  cui il mercato discografico è, sotto molti aspetti, caotico ed inspiegabile, e la critica sembra aver rinunciato del tutto alla sua funzione (se mai l'ha avuta) di segnalazione dei lavori che vale la pena ascoltare.
Chi vivrà...ascolterà...
voto 10/10

venerdì 1 novembre 2019

The Struts Live- Recensione del Concerto al Fabrique di Milano 29 ottobre 2019

Il vostro umile re/censore si è recato a gustarsi il concerto che il gruppo inglese The Struts (vedi recensione del loro ultimo cd qui) ha tenuto al Fabrique di Milano.
Lasciatemi illustrare innanztutto la location dove si è tenuto il concerto. Il Fabrique è uno dei tanti luoghi "dismessi" e poi riadattati che popolano quella ex.citta industriale che viene chiamata Milano.
Ovviamente come molti di questi posti è un luogo piuttosto squallido (ma potrebbe essere peggio) per lo più destinato al transito di automezzi pesanti se non pesantissimi (diversi Corrieri Espressi o Ritardati hanno la loro dimora da codeste parti). Non è la prima volta che vado a vedere un concerto al Fabrique, quindi questo non è per me  una sorpresa, però questa volta il posizionamento del locale mi è parso più fastidioso delle altre volte e spiego il perché. Premesso che sono piuttosto comodo per arrivarci (imbocco la tangenziale alla Gobba e alla quarta o quinta uscita esco, insomma questione di un quarto d'ora e giusto perché sono una lumaca come autista altrimenti sarebbe meno) però vi sono alcuni problemi che emergono. Per trovare un parcheggio bisogna schivare i posteggiatori abusivi che ti vendono posti auto alla modica cifra di € 5 o 3 che comunque sia è un furto. Si può trovare un parcheggio gratuito su Via Mecenate, ma l'ho trovato almeno a 500/600 metri di distanza dal Fabrique. Quindi, una volta posteggiato, mi sono diretto verso l'edificio. Avevo capito che c'era più gente di quanto avessi previsto già solo per il fatto che non si trovava posto auto. Ma ecco che davanti al Fabrique vedo con mia sorpresa che c'è la fila per entrare, nonostante ormai siano quasi le 20.30 ed i cancellli sono stati aperti alle 19.00. Mi incammino seguendo una mamma molto fashion con figlia piccola anche lei molto fashion per arrivare all'inzio della coda. Ma questa non inizia 10 metri più in là, e nemmeno 20 e nemmeno 30...insomma arrivo fino al primo angolo e penso "vabbé c'è un po' di coda ma non è così terribile..." ma subito capisco che ho pensato male. La mamma fashion si ferma e dice alla figlia, "ma cosa vuoi che dicano ad una bambina piccola? ti faranno passare". Giusto e molto italiano, ancorché fashion, Mi ricorda i Mostri di Monicelli. Alla bambina non dicono niente, alla mamma magari che è una gran stronza, che dite? In ogni caso non sono una bambina piccola e nemmeno la mamma fashion  stronza per cui mi rassegno a proseguire per la via che fa da angolo, e cammino cammino e incomincio a pensare "quasi me ne torno a casa", ma anche no, ho il biglietto e a meno di non trasformarmi in bagarino è meglio proseguire. Finalmente arrivo alla fine di questa interminabile fila (che sarà in tutto penso almeno 150 metri) . Calcolo che tutto sommato in mezz'ora dovrei farcela ad entrare. Però quella via è veramente squallida ed è piena di Tir giganteschi che, seppure a passo d'uomo, ci sfiorano, e quindi penso di mettermi in salvo sul marciapiede. Allora dico ai due tizi dopo di me: "Certo che non ci facciamo mancare niente stasera, compresi i camion che cercano di investirci. " Uno dei due ride, l'altro no perché dev'essere uno di quelli troppo seri per ridere della battute del primo pirla che passa per strada (che sarei io, nella circostanza).
Faccio la mia paziente fila e ad un certo punto quando ormai sono quasi le 21.00 (The Struts dovrebbero iniziare alle 21.15) pensano di darsi una mossa e di separare quelli con già il biglietto da quelli che fanno la fila per comprarlo (Premio Darwin agli organizzatori del Fabrique, dopo l'invenzione della ruota e dello stuzzicadenti direi che questa è veramente un colpo di genio, ma quando cazzo mai si fa una unica fila? Come direbbero a Bolzano "malimort.....) Finalmente entro, evito il guardaroba(altri € 5) la birra fredda, vado alla toilette e mi posiziono astutamente nella zona centrale, dove ci sono alcuni scalini e gente della mia età, insomma posso vedere bene senza gente che mi salta sui calli.
Alle nove e mezzo minuto più o meno quando tutti i ritardatari ed i ritardati sono entrati, ecco che entrano gli Struts. Attaccano subito con Primadonna Like me, che è palesemente il manifesto poetico e la dichiarazione di intento del gruppo, e soprattutto del leader, come si vedrà per tutto il concerto.
Poi fanno  Body Talks, Kiss This e In Love with a Camera, e a quel punto mi chiedo" e cosa fanno adesso? hanno fatto le migliori, fanno i bis e se ne vanno?" In realtà il concerto è appena iniziato e prosegue con Fire, One night Only e via via ripercorrendo i loro due album . Fin dalle prime note si nota come la band sia una band vera, che sa stare sul palco, non sono musicisti geniali, scoprono più o meno l'acqua calda, ma sono molto solidi e  conoscono (soprattutto il cantante Luke) tutti i trucchetti del "vero rock"(compreso il "solo di chitarra" che sinceramente ho trovato un poco noioso) per ammaliare, trascinare e sedurre il pubblico, peraltro molto ben disposto a farsi ammaliare. Il repertorio non è vastissimo, e non sempre di qualità, ma loro scelgono il meglio e lo mixano con alcune cover, fra cui si segnala Dancing in the street, vecchissimo hit di Martha and the Vandellas, già coverizzato dalla coppia David Bowie-Mick Jagger nei favolosi anni 80'.
Come si è capito, Luke, il cantante è veramente quello che viene definito un animale da palcoscenico. Le sue movenze sono molto teatrali, il suo modo di stare sul palco è un mix fra il già citato Mick Jagger, Freddie Mercury e Robert Plant (e probabilmente altri 3 o 4 che non sto a citare) ma certo è efficace. Usa tutti i trucchi del mestiere per coinvolgere il pubblico, "e adesso alzate le mani, e adesso cantate con me, e adesso state seduti e adesso ballate" etc etc, insomma fa fare a tremila persone quel cazzo che vuole lui, e se non lo fai, ti senti un attimino una merda, giusto il tempo per capire che in fondo "it's only rock'n roll but I like it". Infine ringrazia il pubblico ricordando che pochi mesi fa a Milano ai Magazzini generali c'erano 700 persone e adesso ce ne sono più di "3 thousands fucking people" ad idolatrarli, cosa che deve riempire il suo ego di orgoglio narcisistico. Poi arrivano i "bis" dopo la solita pausa e si finisce con Somebody New, suonata e cantata al pianoforte da Luke (che, detto per inciso, sotto alle giacche sgargianti e alla teatralità istrionica il talento e la preparazione ce l'ha, eccome) seguita da Ashes e Could have been me per il gran finale dopo  quasi un'ora e tre quarti di concerto.
In definitiva un bel concerto, divertente, peccato per l'acustica a mio modo di vedere e sentire non ottimale, però, al di là dei limiti e dei difetti della loro proposta musicale, The Struts confermano le voci che li segnalano come una delle band da seguire Live, e credo che, chissà, magari la prossima volta ci saranno anche più di tremila persone a sentirli.