E così, dopo 3 anni di assenza: ho l'occasione di rivedere per la settima volta (proprio così, per mia fortuna ho tenuto conto di tutti i concerti che ho visto, e Billy l'ho frequentato dal 1988, poi 1989, poi tre volte negli anni 90 e poi la Camera del Lavoro nel 2011) il buon vecchio Billy Bragg, che forse non migliorerà il suo italiano e peggiorerà il suo inglese, come ci ha fatto sapere in apertura di concerto, ma migliora come interprete delle sue canzoni.
In compagnia di fratello e amico "bragghiano" (a proposito, ma se le fans degli One Direction si chiamano Directioner i fans di B:B come si chiamano... Braggers? Ok la smetto subito..) sono al Teatro Dal Verme alle 20,30. Ci si accomoda ai posti a sedere dopo che il secondino all'entrata ci ha fatto attendere per quasi mezz'ora. Prima dei concerti un tipo che ha l'aria del guerriero Celtico (giusto l'aria ...)fa finta di provare tutti gli strumenti. Probabilmente Billy e soci sono ancora al pub. Alle 21,30, puntualissimo sul ritardo (nel senso che avevo previsto che iniziava alle 21.30 e non alle 21.00) Entra il caro vecchio Billy, accompagnato da una band di 4 elementi. Batterista, bassista, chitarrista di elettrica, acustica e steel guitar, e tastierista. Parte subito con una Ideology riveduta e corretta in direzione country, il che ci fa capire che ci sono stati cambiamenti, ma alla fine la sostanza è sempre quella: canzoni di lotta e di amore intervallate da discorsi a volte seri, spesso invece conditi di irresistibile humor inglese (o bragghiano, o da braggers).Nelle sue intro alle canzoni non può mancare qualche riferimento ai recenti mondiali di calcio, come alle meno recenti elezioni europee.
Billy e la sua band ci danno dentro subito con i pezzi dell'ultimo disco, per dire il vero non ne fanno moltissimi, se la memoria non i inganna eseguono No One Knows nothing Anymore, Handyman blues, la bellissima e tristissima I ain't got no home e la trascinante There will be a reckoning.
Le canzoni nuove sono belle, ma sono le vecchie quelle che alla fine trascinano di più, così Shirley (anch'essa riarrangiata) Sexuality e Accident waiting to happen vengono accolte e salutate con ovazioni. La stessa cosa succede con New England, che Billy introduce raccontando una improbabile session con i Kraftwerk, con i quali avrebbe voluto fare le canzoni di Woddy Guthrie (anche lui presente con la classica All You Fascists Bound to Loose), ed alla fine di questa improbabile storia ecco una versione "alla Kraftwerk" dell'intramontabile canzone.
Il concerto finisce abbastanza presto con una dozzina di canzoni cantate, ma è solo una finta: passa forse nemmeno un minuto ed ecco rispuntare il nostro con la sua vecchia chitarraccia color beige.
Chissà se è ancora quella degli anni 80...ed ovviamente ecco i classici fatti stavolta alla vecchia maniera, ovvero da solo, e quindi To Have and to Have not e There's a Power in a Union, sempiterno inno di lotta.
Arriva furtivo il pianista ed ecco, a sorpresa, Tank Park Salute, da quel sottovalutato capolavoro che è Don't try this at home. E poi è la volta, e no, non poteva mancare nemmeno lei, di Waiting for the great leap forward, con gli altri componenti della band che entrano man mano, prima il bassista, poi il batterista ed infine il chitarrista, e si aggiungano alla canzone arricchendola sempre di più fino a farla esplodere in un grande finale. Alla fine un bel concerto e rimane impresso il messaggio di Billy: le canzoni non possono cambiare il mondo (" vi assicuro, ci ho provato ed è così") ma possono farci capire che non siamo soli e darci lo stimolo per fare qualcosa. Fondare un sindacato o magari cercare una nuova ragazza...
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