I Manic Street Preachers sono uno dei pochi gruppi che ho
sempre seguito fedelmente, tra gli alti e bassi della loro carriera musicale, e
che reputo un gruppo decisamente sottovalutato da critica e pubblico a favore
di gruppi decisamente meno dotati sul piano artistico e creativo.
Questo disco segna una sorta di seconda rinascita del
gruppo. La prima è quella che avvenne con il disco Everything must go nel 1996,
in cui il gruppo volle proseguire dopo l’improvvisa scomparsa del
chitarrista-compositore-poeta Richey Edwards. Da allora gli MSP misero da parte
il loro armamentario punk e provocatorio per dirigersi verso lidi più pop, che
hanno toccato il loro vertice espressivo con Know your Enemy del 2001 e Save
the Tiger del 2007. Da allora un paio di prove più manieriste che convinte facevano
pensare che il gruppo vivesse ormai in un limbo musicale, in attesa di essere
riposto nel solaio del rock per poi venire riciclato ogni tanti anni.
Questo disco è la smentita di tutto questo. Difficile descrivere la musica
che è contenuta ma si può dire che molte canzoni hanno una impostazione folk(This sullen Welsh Heart ,4
Lonely Roads), ma questa si trasforma in arrangiamenti strumentali sontuosi
come in Rewind The Film o la monumentale 30 Year War o danno sfogo alla propria
creatività con la strumentale Manorbier, mischiano rock ed elettronica in Tokio
Skyline. Ma non si pensi ad un disco pretenzioso, il lato pop del gruppo emerge
potente in canzone macchiate di soul come Show me the Wonder o l’anti-inno di Anthem
for a lost a cause o ancora As Holy as the Soil, dove l’ombra dei Fabolous Four
si affaccia prepotente, mentre qualcosa dei vecchi Manics sia ritrova in 3 ways
to see despair.
Insostanza sicuramente uno dei loro migliori dischi in
assoluto e credo tra i migliori e più significativi usciti quest’anno.
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